[Laspro 37] Babbo Natale e il mio amico Gianni

di Alessandro Pera (da Laspro 37, ottobre 2016)

christmas-1072575_960_720«Bambini, da oggi inizieremo un nuovo percorso, un laboratorio, ma non parleremo soltanto, faremo anche delle cose, tutti insieme. L’attività più importante sarà realizzare su un foglio gigantesco un disegno collettivo, fatto da tutta la classe. Con il vostro aiuto disegneremo una grande mappa, una cartina, che avrà come oggetto il vostro quartiere».

«Che vuol dire quartiere?».

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[Laspro 36] Sunday Bloody sunday ovvero: come sono diventata atea – 2

di Sabrina Ramacci (da Laspro 36 – maggio/giugno 2016) II parte, qui la prima

Questa è la storia, in gran parte vera, della mia conversione all’ateismo, una storia durata dieci anni, dai 3 ai 13 della mia gioventù. Se non fosse andata com’è andata forse oggi sarei ancora cattolica. È andata benissimo ma nonostante ciò capisco che le domeniche di molti saranno per sempre maledette e insanguinate. 

La sospensione della domenica

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Sabrina ai tempi delle elementari in tuta da ginnastica modello Adidas

A cinque anni mia madre comprese che aveva due possibilità: vendermi o portarmi a scuola con lei, nella sua classe. Optò per la seconda. L’età delle scuole elementari fu spensierata, continuavo a essere una gioiosa teppista. Non credevo più che tutti i bambini fossero buoni, lo ero io e chi decidevo io. Ciò mi bastava. Quelli furono gli anni del catechismo, poiché, dopo quattro anni di indottrinamenti, avrei ricevuto il più bello dei sacramenti: la comunione. Con il battesimo mi avevano incastrata, comunione e cresima facevano parte dei miei patti lateranensi familiari, credo di aver ricevuto una bicicletta in cambio dell’accordo. Continua a leggere

[Laspro 36] Sunday Bloody Sunday ovvero: come sono diventata atea – 1

di Sabrina Ramacci (da Laspro 36 – maggio/giugno 2016) I parte

Questa è la storia, in gran parte vera, della mia conversione all’ateismo, una storia durata dieci anni, dai 3 ai 13 della mia gioventù. Se non fosse andata com’è andata forse oggi sarei ancora cattolica. È andata benissimo ma nonostante ciò capisco che le domeniche di molti saranno per sempre maledette e insanguinate. 

Un castigo inaudito

Il primo tragico episodio risale a quando avevo tre anni. Ero giovane e piena di belle speranze nei confronti del mondo. Pensavo che tutti fossero buoni, io più di tutti. In effetti, avevo di me un’immagine idilliaca. Poi mia madre decise di mandarmi all’asilo. Erano i primi anni Settanta e vivevamo in un paese di provincia famoso per tre cose: le castagne, i papi, i parenti di Giulio Andreotti. Non c’erano alternative, l’asilo era uno ed era gestito da suore. Le suore sono cattive ma io a quel tempo non lo sapevo. Pensavo, dato il mio già sviluppato senso estetico, che fossero un po’ bruttine ma non credevo fossero cattive. Lo erano. Continua a leggere

[Laspro 36] La prima comunione

di Alessandro Bernardini (da Laspro 36)

A guardare la foto non ci sono dubbi: io sono l’unico coi bermuda. È una di quelle immagini verdognole scattate senza flash. Il fotografo probabilmente è un purista, alza gli ISO e apre il diaframma e così noi veniamo tutti un po’ sgranati, con gli occhi leggermente cerchiati di nero. È quasi arrivata l’estate e qui dentro non ci sono finestre. Le luci artificiali glorificano l’altare e la coppa d’argento piena di pietruzze, in cui tra un po’ dovrebbe essere versato il sangue di Cristo.
agostino_di_bartolomei_roma_1978-79A dire la verità il calice somiglia molto alla coppetta che mia sorella ha vinto qualche giorno fa al torneo di tennis a largo Preneste, un accrocco fatto di latta e plastica che si è meritata stracciando la concorrenza. È stato il capitano Agostino Di Bartolomei – che ha da poco chiuso la sua carriera con la Roma con 214 presenze e 49 gol per passare al Milan – a consegnarle il trofeo sotto gli occhi adoranti di noi bambini.
A proposito di Cristo: lui c’è, è proprio dietro di noi e non se la passa poi tanto meglio, visto che è inchiodato a una croce con la testa piegata a sinistra e probabilmente è già morto. Ogni tanto mi giro a guardarlo e sinceramente la sua faccia mi inquieta un po’. È così magro, scavato, con tracce di sangue che gli scivolano sul costato, i piedi ossuti bucati da un chiodo enorme e arruginito e le mani che sembrano due polipi in fuga. Continua a leggere

[Laspro 35] Scup reloaded ovvero fenomenologia di una ricostruzione

Ultimo appuntamento con i reading di Laspro negli spazi sociali romani sotto attacco, di cui si parla nel numero 35 di marzo/aprile 2016: dopo la Biblioteca Abusiva Metropolitana e il Corto Circuito, domenica 8 maggio alle 18.30 siamo a Scup, in via della Stazione Tuscolana 84, sgomberato da via Nola e quasi subito rioccupato nei nuovi locali, nel corso di un corteo per le strade del quartiere, proprio di questi tempi, un anno fa. In questo articolo/racconto, si parla della ricostruzione del nuovo Scup. A domani!

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di Gaia Benzi

L’aria è fredda e frizzantina mentre cammino per l’Appio Latino. In mano ho il telefono, moderna bussola, e cerco di orientarmi in un dedalo di strade che a me sembrano tutte uguali. Non ho mai frequentato molto la zona di piazza Ragusa, lo confesso. D’altra parte, non è che ci sia mai stato granché da frequentare. Continua a leggere

[Laspro 35] Il drone sul Corto

Secondo appuntamento stasera alle 21.30 con i reading di Laspro negli spazi sociali romani sotto attacco: dopo la Biblioteca Abusiva Metropolitana, è la volta di uno degli spazi storici tra le occupazioni cittadine, il Corto Circuito, nel quartiere di Cinecittà, che guarda caso festeggia 26 anni di occupazione. E guarda caso oggi Laspro festeggia 7 anni di vita! Che, non passate a farci gli auguri? A dopo!

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Questo è il racconto sul Corto Circuito pubblicato sul numero 35 di Laspro:

di Mimmo Niglio

Ahia! Mamma che botta!
E pensare che un mio fratello sta inviando immagini dalla Siria, un altro si spia le riunioni delle famiglie mafiose in Sicilia, un altro ancora le piantagioni di coca in Colombia e io.. qui! A controllare il nulla e pure sbattuto a terra senza preavviso! E già, perché i due prefetti, per il Giubileo dei due Papi (ho qualche problema di circuiti io, o davvero è tutto doppio?), hanno deciso di imporre su Roma la no-fly zone, ma nessuno ha pensato di avvertirmi!
Oh, scusate.. non mi sono ancora presentato.
Mi chiamo Parrot.. per la precisione, mi chiamo Parrot AR Drone 2.0 e sono, appunto, un drone che, a differenza dei più fortunati fratelli, è finito nelle mani di un certo Sedano, Carota… o non ricordo che altro ortaggio (questa la capiscono in pochi, nda), che mi ha mandato a spiare il Corto Circuito, un Centro Sociale Occupato Autogestito che, lui dice, potrebbe essere pericoloso. Pericoloso? Boh… io sono due anni che sorvolo questo posto, ma la cosa più pericolosa che ho visto, è stato un ragazzino che si è lanciato dallo scivolo con la testa in avanti (peraltro, subito redarguito dalla mamma). Continua a leggere

[Laspro 34] Il vento scatena le ante

di Valerio Callieri

Le storia inizia con il vento che scatena le ante.
Il protagonista si chiama Sergio e fa il piastrellista. È un tipo che arriva quando i lavori di muratura sono quasi finiti e serve qualcuno che posi le piastrelle e componga il pavimento nella forma che desideriamo. È qualche giorno che non lavora e adesso se ne sta stravaccato sul divano a scrivere qualcosa sul cellulare mentre un quiz televisivo continua a miagolare inascoltato sullo sfondo.
Quando Sergio ti fa una carezza sul viso, hai la dolce sensazione del brecciolino mentre cadi dallo scooter. Nonostante lo stereotipo sulle mani del muratore, Sergio si sente il rifinitore, quello che dà il tocco finale al lavoro. Questo a volte lo rende presuntuoso come un graphic designer durante un aperitivo.
È quindi con la genuina arroganza del muratore hipster che illustrerà e diventerà una storia.
Quando il vento apre e fa sbattere le ante della finestra, Sergio dice con un ghigno sibillino: «Sono il protagonista e sono convocato dal vento».

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Illustrazione di Ilaria Vescovo

Sergio si alza, si affaccia alla finestra e scopre che il cielo è increspato da nuvole oscure. La luce viene soffiata via dalle strade e dagli alberi. Il vento freddo sembra arrivare da un posto lontano e sconosciuto. Sergio afferra l’ombrello, esce di casa e si scorda di spegnere il fuoco sotto il pentolino d’acqua in cui sta facendo bollire due uova. La palestra di kung fu di Dario è a dieci minuti di cammino. Se corre forse riesce a raggiungerla in cinque minuti. Continua a leggere

[Laspro 35] Il verbale d’assemblea

di Renato Berretta (da Laspro 35 marzo/aprile 2016)

Correva un lunedì come tanti, il primo lunedì che dio comandi, anzi facciamo qualcun altro che è meglio, il giorno che il vecchio Vasco ha confidato urbi et orbi di odiare in un suo celebre pezzo, il giorno detestato ben prima che il citato Vasco facesse outing da nutrite schiere di dannati della terra costretti a ricominciare la propria settimana lavorativa proprio in questa malinconica giornata. Il lunedì, insomma, che si presenta già di per sé come una delle tante iatture della società capitalistica bisognosa d’intraprendenti produttori e accaniti consumatori.
Era già di sera e non mi va d’inventarmi fantasie per descrivere le posizioni lunari, se c’era la luna piena degli innamorati, l’ambigua mezzaluna che non sai mai da che parte prenderla o quella negata al fallibile occhio umano. Tantomeno mi metto a indugiare sulla posizione delle stelle, non m’interessano gli oroscopi e non credo alla storia dei desideri che s’avverano di fronte a un astro cadente (mai ‘na gioia).
Si può dire, però, che era d’inverno, il freddo di gennaio, non troppo freddo però, eravamo dentro le medie stagionali come avrebbe sentenziato Bernacca, con una ventilazione inapprezzabile come avrebbe chiosato in una delle sue immortali radiocronache il buon Sandro Ciotti.
Da pochi minuti erano trascorse le nove della sera, nelle case normali si sparecchiava la tavola e si lavavano i piatti, dalle finestre rigorosamente chiuse provenivano fastidiosi rumori di televisioni accese all’ora di massimo ascolto (quindi la peggiore).
Tutto questo dentro una delle tante periferie romane, teatro di questo breve quanto didascalico racconto, periferia che si definirebbe senza eccessiva originalità degradata, con palazzi alti e automobili ammucchiate a casaccio che tanto che n’ce esci? Gli effluvi del fiume Tevere detto amichevolmente er biondo, profumavano l’aria, e proprio al centro di questa periferia così provata dalla dura esistenza quotidiana, s’imponeva fiera e claudicante la mole del centro sociale occupato e autogestito, unico e indissolubile baluardo di resistenza metropolitana, estremo simbolo della necessità di riscatto sociale per migliaia e migliaia di proletari.
All’interno del centro sociale una luce sufficientemente potente illuminava la sala destinata a ospitare l’assemblea di gestione, unico e autorevole consesso deputato ad assumere tutte le gravi e ultime decisioni per fornire adeguata risposta ai problemi del quartiere e affrancare milioni di proletari dall’infame giogo capitalistico.
Intorno a un tavolo ovale gli intrepidi militanti del centro sociale sfogliavano appunti e quotidiani sparsi, riflettevano confusamente mischiando personale e politico, i propri destini e quelli dell’umanità sofferente, ben poggiati su sedie arrugginite, avanzi di traslochi andati a male o di bar in liquidazione rigorosamente coatta.
A osservarli severamente da pericolosi scaffali perennemente in procinto di cadere sulle teste di qualche malcapitato frequentatore o avventore occasionale, c’erano polverose copie del Gramna, di Rosso e di altre storiche riviste, patrimonio universale, non si pretende dell’umanità ma, almeno, del movimento antagonista. Tali riviste, unitamente e in concorso a volantini, scritti e libri sacri del pensiero rivoluzionario, componevano il glorioso archivio del centro sociale, opera incompiuta da anni nell’attesa che qualche volenteroso un po’ masochista e resistente a fastidiose forme allergiche, potesse dargli definitiva sistemazione. Dalla cima di questi scaffali Kim Il Sung raccolto nella sua opera ormai introvabile, osservava accigliato, mentre le copie dei vari congressi del partito comunista albanese parevano guardarsi con sospetto e diffidenza con moli di documenti sul rifiuto del lavoro dell’autonomia romana degli anni settanta.

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La situazione non era affatto eccellente nonostante la confusione sotto il cielo quando il comandante Ramingos estrasse dal suo capiente zaino sorprendentemente trendy la sua voluminosa agenda. Un’agenda normale solo all’apparenza, con l’ordinaria indicazione dei trecentosessantacinque giorni (non era anno bisesto) e la rubrica telefonica finale sulla quale avrebbero volentieri messo le mani solerti agenti e funzionari della Digos.
L’agenda del comandante Ramingos, tuttavia, conteneva l’elenco degli argomenti che lo stesso intendeva sottoporre alla discussione assembleare, una lunga lista di questioni decisive per liberare il proletariato da secolari catene e che faceva ragionevolmente presagire una lunga durata di quella riunione. Infatti, il buon Ramingos ruppe gli indugi e diede inizio ai lavori (si fa per dire), affermando con la giusta rabbia: «A compà c’avemo un sacco de cose da discute».

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[Laspro 35] A.C.A.B. All Cats Are BAM

di Enrico Astolfi

Il numero 35 di Laspro (marzo/aprile 2016) tratta degli spazi sociali romani, in particolare alcuni di quelli sotto attacco – o già attaccati con sgomberi e intimidazioni istituzionali (B.A.M., Scup, Degage, Corto Circuito). Per questo, lo presentiamo proprio in questi spazi, a partire da oggi, alla Biblioteca Abusiva Metropolitana di via dei Castani a Centocelle. Questa è la storia che riguarda B.A.M., di Enrico Astolfi e con le illustrazioni di Aladin, che verrà raccontata da Giovan Bartolo Botta, con le musiche di Luca e Alessandro di Laspro. A stasera.

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Centocelle, via dei Castani.
Dovete sapere che là dove non c’era nulla, dove un palazzo era abbandonato e lasciato nelle grinfie dell’incuria ora c’è una biblioteca abusiva metropolitana. Al suo interno qualche anno fa c’erano solo calcinacci, lavandini rotti, marmitte usate, tapparelle divelte, cucchiai bruciati, cagatine di topo, ora ci sono più di diecimila libri, una cucina, una sala studio e postazioni internet a disposizione. Continua a leggere

Scontri tra bande per una bicicletta rubata al Pigneto – 2° puntata

di Enrico Astolfi

Nella puntata precedente: Mamadou, lavoratore SDA proveniente dalla Guinea Conakry, si appresta ad andare al lavoro, ma scopre che la sua bicicletta, legata a un palo della luce sotto casa sua, in piazza Nuccitelli Persiani, al Pigneto, è stata rubata. Si mette alla sua ricerca.

Marius e il tricolore

Marius arrivò nei pressi del distretto sanitario Santa Caterina della Rosa a largo Preneste.
Osservò i murales sui muri dell’ospedale. Arricciò il naso.
Non li sopportava, non ne capiva il senso, l’utilità. Disegnacci, ecco cos’erano. Tutti uguali, abbozzi informi, scarabocchi privi di senso e, senza dubbio, quelli che aveva davanti erano tra i più brutti che avesse mai visto.

2 puntata per web 300

Illustrazione di Marta Bianchi

Mise le mani in tasca e, ingobbito, proseguì.
Arrivò a largo Preneste, una sorta di isolotto di cemento incastrato fra via Prenestina e via dell’Acqua Bullicante, una piazzetta tutta storta circondata da rotaie dei tram e asfalto. Qua e là qualche alberello triste immerso nello smog.
L’aria era calda, nel cielo azzurro erano conficcate un paio di nuvole. Un tranviere obeso ciondolò verso il gabbiotto dove sostavano alcuni colleghi, consegnò un foglio di carta e si mise a ciarlare.
Mario puntò un alimentari. Comperò un paio di Mignon di Vecchia Romagna. Continua a leggere