#CyclingForPalestine – Day 29 Breve sosta in Montenegro e Tito (the Dude)

Il 16 febbraio è partito Cycling for Palestine – seimila chilometri contro l’occupazione e l’islamofobia, il viaggio in bicicletta da Roma alla Palestina di Captain Tom No che Laspro segue nei suoi sviluppi. È  possibile sostenere Cycling for Palestine con un abbonamento speciale a Laspro da 20 euro (10 per la rivista, 10 per Cycling for Palestine).

di Captain Tom No

In Montenegro, di cui purtroppo non potrò dire molto se non che i pochi luoghi visitati nel breve passaggio meriterebbero soggiorni ben più prolungati, visito Kotor (Cattaro), antica città incantata, quieta kermesse di immagini di singolare bellezza. Qui, lo specchio d’acqua in cui riflettersi e riflettere è sempre calmo; il mare stesso, per entrarvi, deve chiedere il permesso alla penisola di Prevlaka e alla punta d’Ostro, che sono vicinissime tra loro, a dispetto degli 87 chilometri quadrati dell’intero complesso di bacini costituenti questo magnifico e articolato porto naturale; l’Adriatico vi accede sì, ma in modo timido, direi quasi furtivo, come un marito che rincasi troppo tardi.15

Sebbene qui “non voli una mosca” tale è la quiete anche nelle ore diurne, la gente è molto cordiale, e anche al primo approccio si passa facilmente alle pacche sulle spalle come alle battute canzonatorie.
Ho vissuto praticamente in apnea negli ultimi giorni in quanto per quasi tutto il periodo croato ho potuto scambiare ben poche parole col prossimo. Diciamo per colpa mia, diciamo… E man mano che mi allontano dai paesi “ricchi” e viceversa mi avvicino ai cosiddetti “posti pericolosi”, trovo atmosfere sempre più cordiali, sempre più generose. Continua a leggere

La Rete antirazzista di Piazza Vittorio, i fascisti del nuovo millennio e quer pasticciaccio brutto de Parigi

di Alessandro Bernardini (da Laspro 31 – febbraio 2015. Per abbonarti a Laspro clicca qui).

piazzavittorioDomani nella battaglia pensa a me, scriveva Shakespeare, frase poi ripresa dal romanzo di Javier Marías. Ed è a Piazza Vittorio, a Roma, che si combatte una battaglia.
Sbagliato.
A Piazza Vittorio si combattono tante battaglie.
Il rione Esquilino è una zona non conforme alle politiche delle grandi metropoli europee, che vedono il centro della città a uso esclusivo del turismo, della presenza di famiglie a reddito medio-alto e a un’immagine occidentalizzante nel senso più becero: cattolico, bianco, conservatore e benestante.
Piazza Vittorio è invece un laboratorio involontario in cui diverse comunità si confrontano e si scontrano.
Lì ci sono anche gli avanguardisti che non si arrendono al conformismo, che sfidano il mondo dell’uguale, quelli che fanno azione, che innestano mine sociali in tutto il territorio romano e nazionale considerando il presente (Casa Pound), come un dono lasciato dal passato fascista che ci scaglierà verso il futuro.
Sono i fascisti del terzo millennio che vanno a braccetto con la Lega e hanno la salivazione alterata nel pensare a quanto possa essere appetibile la prossima campagna elettorale, incentrata sulla difesa dei confini nazionali dall’orda di terroristi islamici che verranno a mettere a ferro e fuoco le nostre città. Continua a leggere

#CyclingForPalestine – Day 24 Dubrovnik

Il 16 febbraio è partito Cycling for Palestine – seimila chilometri contro l’occupazione e l’islamofobia, il viaggio in bicicletta da Roma alla Palestina di Captain Tom No che Laspro segue nei suoi sviluppi. È  possibile sostenere Cycling for Palestine con un abbonamento speciale a Laspro da 20 euro (10 per la rivista, 10 per Cycling for Palestine).

di Captain Tom No

«Ora tu pensa: un pianoforte. I tasti iniziano. I tasti finiscono.
Tu sai che sono 88, su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti, loro»
(Alessandro Baricco, Novecento)

tomNon sto socializzando. È pur vero che ho la barba lunga e vesto in modo inconsueto ma insomma.
Magari è la solitudine, che di per sé favorisce ogni genere di paranoia, a farmi credere che qui mi osservino tutti con apprensione, come fossi una scimmia scappata dal circo. Come ho già detto precedentemente, a ogni mio tentativo di approccio la gente si ritrae in una sorta di carapace: un esoscheletro impenetrabile all’empatia.
A Trsteno per dirne una, mi sistemo in un campeggio fuori stagione trstenoe stavolta, diversamente dai trascorsi, il gestore è presente e intento a rasare il prato: chiedo il permesso di accamparmi ed egli acconsente, del resto non ho un camper e un po’ d’erba è giusto quanto mi occorre; tuttavia mi avvisa che le toilette sono inutilizzabili in quanto non pulite dalla stagione precedente (ma brutto zozzone mi vuoi dire che hai lasciato i cessi come stavano dall’ultima volta che se ne è fatto uso? E con che pensi di pulirli a quasi un anno di distanza? Perché con un normale detersivo non se ne parla; ti ci vorrà del tritolo semmai). Tant’è che il mattino successivo mi intrufolo di soppiatto nei bagni e lo scenario che mi si presenta è una roba raccapricciante: un luogo indegno persino a liberarmi di un po’ del mio peso corporeo.
Ma la questione centrale non sono le condizioni del cesso; l’igiene varia molto da cultura a cultura a seconda della disponibilità dei mezzi che occorrono per praticarla – mettiamola così – e talvolta occorre essere “flessibili”. Il punto è che costui abita esattamente “nel” campeggio, ossia non deve nemmeno attraversare la strada, e tuttavia non una chiacchierata, non una tazza di tè, non un tubo di gomma da dire “tiè, se ti serve un po d’acqua pigliala da qua”. Niente di niente…
In serata la moglie rientrerà da fuori con prole al seguito. Mi saluterà di sguincio come avessi la lebbra, salvo poi tenermi d’occhio stando a debita distanza (ovviamente), mentre mi preparo il mio solito schifosissimo pappone. Persino i figli tireranno dritto, tre piccoli soldati dal piglio fiero e una soldatessa minuscola; quest’ultima però non resiste e alla fine si volterà verso di me che le farò ciao con la mano, ottenendo in cambio un bel sorriso ancorché temporaneamente orfano degli incisivi.
Io ormai parlo da solo, perché qui in Croazia non ho alternative. Continua a leggere

Gli alberi del sud danno uno strano frutto

Breve storia delle più famosa canzone antirazzista della musica americana

di Ilario Galati (da Bassa FedeltàLaspro 31 / febbraio 2015 clicca qui per abbonarti a Laspro)
[per la prima volta pubblichiamo sul blog l’articolo di Bassa Fedeltà, la rubrica musicale di Ilario Galati su Laspro, la più longeva della rivista, pubblicata sin dal primo numero di aprile 2009]

Il ‘900, prima ancora di essere il secolo nel quale si vanno affermando nuovi linguaggi musicali – il jazz e il rock’n’roll su tutti – è indubbiamente anche il periodo di massima espressione della canzone, intesa come nuova forma di componimento musicale. Prima del secolo breve, infatti, la canzone era stata “solo” un tema strumentale, per poi divenire altro dall’incontro con un testo cantato: questo accade nelle strade, tra la gente che, su arie celebri, comincia ad aggiungere parole.
Ovviamente nel ‘900 la canzone conosce la sua dignità di autonoma composizione in musica, sin quasi a ergersi a unico veicolo non solo di melodie, ma anche di idee e ideali. Infatti, se nei primi anni del secolo e soprattutto in Europa, le canzoni servono per far conoscere le condizioni di vita dei lavoratori sfruttati, altrove timidamente cominciano a raccontare vicende che difficilmente trovano il giusto posto nelle pagine dei quotidiani. Negli Stati Uniti d’America, i primi decenni del ‘900 sono caratterizzati da una serie di eventi drammatici che ottengono notorietà proprio grazie a canzoni scritte di getto e imparate col passaparola: si pensi alla storia di Sacco e Vanzetti, o più in generale alle ballate del Dust Bowl che raccontano gli stenti e la fame di milioni di uomini. Ma si pensi soprattutto alle canzoni che, squarciando il velo di omertà, cominciano a raccontare il razzismo e la segregazione che vige nel Paese delle Opportunità: il Klan, sempre più forte negli Stati del Sud, porta avanti quasi del tutto indisturbato un vero e proprio pogrom contro gli afroamericani. Continua a leggere

#CyclingForPalestine – Day 20 Cani e gatti da Zara in poi (l’insostenibile livore del Capitano)

Il 16 febbraio è partito Cycling for Palestine – seimila chilometri contro l’occupazione e l’islamofobia, il viaggio in bicicletta da Roma alla Palestina di Captain Tom No che Laspro segue nei suoi sviluppi. È  possibile sostenere Cycling for Palestine con un abbonamento speciale a Laspro da 20 euro (10 per la rivista, 10 per Cycling for Palestine).

di Captain Tom No

Eravamo rimasti a Zara se non sbaglio, giusto? Nel frattempo, in qualità di amministratore delegato della Cycling For Palestine vi informo che l’orsetto Melghibson, responsabile del  marketing e delle comunicazioni, non fa più parte della nostra azienda.melghibsonPertanto, dopo anni di profittevole collaborazione, tutti noi non possiamo che augurargli di andare al diavolo!
«Carogna! Come ai potuto? Dopo tutto quello che c’è stato tra noi… Si va via così… Senza salutare, senza neanche un bacino? Se c’era qualcosa che non ti stava bene, voglio dire… potevamo parlarne…». Continua a leggere

«Chi cazzo è il dietista?»

Dopo un po’ di tempo, Luca Palumbo ritrova Matteo Furst, di cui raccontava le vicende da operatore sociale con i senza fissa dimora romani nel romanzo Un maledetto freddo cane. Ora lo ritrova: fa ancora l’operatore sociale ma questa volta in un centro per richiedenti asilo – Sprar – ed è ancora più sclerato (da Laspro 31 – febbraio 2015. Per abbonarti a Laspro clicca qui).

di Luca Palumbo

È un centro di accoglienza enorme, si intuisce subito che è un labirinto tortuoso, gelido e tetro. Sono riuscito a oltrepassare una vigilanza assonnata, mi hanno detto di raggiungere Matteo Furst, di fare quattro chiacchiere con questo operatore sociale scorbutico, perennemente sul piede di guerra con tutto e con tutti. Me l’hanno indicato con un sorrisetto sarcastico.

Illustrazione di Alex Lupei

Illustrazione di Alex Lupei

Non risponde nemmeno al mio saluto, mi dice in un borbottio di seguirlo in mensa. Sta aiutando un addetto al refettorio, un senegalese, a scaricare polibox pieni di cibo destinato ai rifugiati e ai richiedenti asilo politico del centro per la cena. Afferra i contenitori con rabbia, scaraventandoli rumorosamente sui carrelli. L’addetto senegalese lo osserva ridacchiando, poi guarda me perplesso. Non so come comportarmi esattamente, forse non dovevo venire. Accenno timidamente a Matteo Furst della recente tentata incursione nel centro da parte di un gruppo di estrema destra che da anni pretende la chiusura della struttura e l’allontanamento dal quartiere degli zammammeri (oscuro e controverso termine dialettale che nel centro in cui è ambientato questo pezzo alcuni utilizzano per definire i migranti duri di comprendonio e dai modi rozzi, ndr). Gli chiedo se i rifugiati del centro temono un altro attacco, una possibile escalation di razzismo. Lui lancia l’ultimo polibox in un carrello e mi fa bruscamente cenno di avvicinarmi. Scoperchia tre contenitori. Continua a leggere

#CyclingForPalestine – Day 16 Breve interludio che spiega perché mi sono messo in marcia

Il 16 febbraio è partito Cycling for Palestine – seimila chilometri contro l’occupazione e l’islamofobia, il viaggio in bicicletta da Roma alla Palestina di Captain Tom No che Laspro segue nei suoi sviluppi. È  possibile sostenere Cycling for Palestine con un abbonamento speciale a Laspro da 20 euro (10 per la rivista, 10 per Cycling for Palestine).

di Captain Tom No

«Cos’è la bellezza mio fido Parsifal? Essa si nasconde di questi tempi, perché mai? E dove?»
«Ma essa è qui mio Capitano. Davanti ai tuoi stessi occhi. Tutta la bellezza del mondo è ora qui, in un solo spazio, in un solo momento, tra i più poveri, tra i più oppressi. Chi non riesce a vederla è perché non ha mai aperto gli occhi…»

AGOSTO 2014
E al terzo giorno in Palestina Captain No fece la sua scelta. Così è scritto.
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A Bi’lin incontriamo Mohammad, rappresentante di un comitato locale di resistenza non violenta. Lui è cristiano perché qui, in questa cittadina semi devastata, musulmani e cristiani vivono in pace e in pace pregano ognuno secondo il proprio credo. Magari si potesse anche lavorare in pace, macché.
Qui gli israeliani l’hanno proprio studiata fina, sentite qua: la politica di sviluppo dell’economia rurale, in base ai decreti risalenti al periodo ottomano, stabiliva che un terreno concesso e non coltivato per un medio periodo poteva essere sottratto al concessionario inetto e dato a un altro più volenteroso. Magari la normativa era un po’ più articolata ma non avendo io accesso ai documenti dell’epoca e non essendo io un contemporaneo del principe ottomano Amin accontentatevi di questa descrizione sommaria e non state lì tanto a menarla. Continua a leggere

#CyclingForPalestine – Day… Boh, 15? Ho già perso il conto; Fiume, Segna, Karlobag, Zara, pazzi e vichinghi

Il 16 febbraio è partito Cycling for Palestine – seimila chilometri contro l’occupazione e l’islamofobia, il viaggio in bicicletta da Roma alla Palestina di Captain Tom No che Laspro segue nei suoi sviluppi. È  possibile sostenere Cycling for Palestine con un abbonamento speciale a Laspro da 20 euro (10 per la rivista, 10 per Cycling for Palestine).

di Captain Tom No

Il Krav Maga è una tecnica di combattimento corpo a corpo di origine israeliana; nato negli ambienti ebraici dell’Europa centro-orientale, ha avuto sviluppo in Israele durante la prima metà del XX secolo.
Non la si può nemmeno definire una disciplina, perlomeno non dal punto di vista umano. È una roba da macellai, un qualcosa che punta esclusivamente a massimizzare l’offesa verso i punti vitali, quali occhi, carotide, genitali ecc…
Alla fine del capitolo spiegherò il perché ve ne parlo.

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Fiume
Non ho intenzione di rimanerci, tanto più che alloggio nell’ostello più malfamato della zona portuale. Ciò non significa che io debba temere i brutti ceffi, al contrario è la polizia a tenermi sott’occhio. Mi rendo conto che qui non siamo in Australia, dove puoi andartene in giro in tanga, bretelle e col colbacco, senza che nessuno si scomponga più di tanto; in effetti il vostro non appena si allontana dalla Speed Machine è facile che lo scambiano per un homeless, niente di più facile. Barba lunga e incolta, pelle arrossata dalla perenne esposizione al vento, al sole e alla pioggia, braghe corte e sporche ecc. Vaglielo a spiegare che quelli che ho addosso sono i tessuti tecnici grazie ai quali il mio conto è in rosso e speriamo che in tanti si abbonino a Laspro se no mi tocca pasteggiare a semi e lupini. Continua a leggere

Inside Kobane – fotoreportage

Quattro attivisti italiani della Campagna Rojava Calling sono riusciti a passare la frontiera e hanno passato alcuni giorni nella città che reca ancora i segni della presenza dell’Isis, e dove nella devastazione già si fa strada la voglia di ricominciare.

collina-arin-mirkanAbbiamo preferito le immagini alle parole. Cinque giorni dentro Kobane sono abbastanza per scegliere un altro punto di vista sul mondo. Quello della rivoluzione possibile. Questo è il motivo per cui abbiamo paura della retorica e non riusciamo a immaginare un testo in grado di contenere tutto quello che abbiamo vissuto correndo oltre il filo spinato per oltrepassare quella maledetta frontiera, con luci e fucili dell’esercito turco puntati alla schiena. Se fosse un altro posto, un qualunque altro posto, quelle strade piene di macerie, cadaveri e resti umani, sarebbero la cosa più simile all’inferno che si può immaginare sulla terra. E invece la libertà, così difficile da immaginare realizzata per noi che abbiamo perso il sapore della conquista, ha trasformato quel disastro in nuove fondamenta. Sola come durante la guerra, Kobane lentamente si sta rialzando sulle proprie gambe e giorno dopo giorno raccoglie le migliaia di abitanti che aveva messo al sicuro a Suruç e che ora sono pronti a ricominciare dove il Daesh li aveva violentemente interrotti. Non siamo giornalisti. Siamo parte di un progetto collettivo, Rojava calling, che da mesi supporta e sostiene questa esperienza. Quello che raccontiamo è un tentativo di restituire la verità della Rojava anche attraverso l’atrocità del conflitto. Sappiamo che la densità e l’intensità degli incontri e delle esperienze che abbiamo vissuto in questi giorni sono state un privilegio che dobbiamo ai fratelli e alle sorelle che abbiamo lasciato oltre il confine e che ci hanno accompagnato istante dopo istante. Abbiamo battuto quartiere per quartiere la città distrutta, addentrandoci tra i passaggi segreti che i combattenti e le combattenti hanno aperto tra i palazzi per non esporsi mai ai cecchini dell’Isis. Quegli stessi varchi grazie ai quali metro dopo metro i compagni hanno riconquistato la città. Siamo saliti fino alla cima della collina che oggi porta il nome di Arin Mirkan sulla quale è stata issata l’immensa bandiera che ha sancito la liberazione. Abbiamo chiacchierato con i combattenti e le combattenti dello Ypg e Ypj di resistenza, pratiche rivoluzionarie, strategie di smantellamento della mentalità patriarcale, capitalismo e liberazione. Abbiamo assistito alla prima riunione ufficiale dei tre cantoni che hanno scelto quel teatro apocalittico per discutere insieme non solo della ricostruzione di Kobane, ma pure del futuro della rivoluzione del Rojava. Abbiamo attraversato il cuore di una città senza moneta, che durante la guerra non ha mai smesso di produrre pane e garantire sopravvivenza a chi era rimasto in città. Abbiamo lavorato fianco a fianco ai ragazzi del media center, quei ragazzi che durante la guerra sono rimasti dentro Kobane per raccontare al mondo quello che accadeva istante dopo istante. Ma soprattutto di questi giorni non scorderemo mai la ricchezza delle discussioni politiche fatte al calar della sera davanti a un chai con alcuni protagonisti di questa rivoluzione di cui abbiamo promesso di cancellare volti e nomi. Non dobbiamo dimenticare che Kobane, la Rojava, il confederalismo democratico sono il risultato di un esperimento praticato negli ultimi decenni da un’organizzazione, il Pkk, che oggi ancora viene accostata al terrorismo e costretta alla clandestinità. Tutte queste cose vanno tenute assieme perché Kobane non diventi solo una bandiera da sventolare ma una pratica che mira alla riproducibilità e alla moltiplicazione. Tutto il mondo è in debito con questa rivoluzione. Kobane, la sua gente e la sua resistenza sono patrimonio dell’umanità.carro armato2 Continua a leggere

#CyclingForPalestine – Day 8 Trieste: ultima frontiera

Il 16 febbraio è partito Cycling for Palestine – seimila chilometri contro l’occupazione e l’islamofobia, il viaggio in bicicletta da Roma alla Palestina di Captain Tom No che Laspro seguirà nei suoi sviluppi. È  possibile sostenere Cycling for Palestine con un abbonamento speciale a Laspro da 20 euro (10 per la rivista, 10 per Cycling for Palestine).

di Captain Tom No

Ma prima di tutto ho da fare un appello: cicloviaggiatori sani di mente, guardatevi dalla Romea che porta a Jesolo, è un suicidio. E ve lo sta dicendo uno che si è appena fatto la tangenziale di Mestre sotto agli sguardi increduli di tutti quelli che vi transitavano. Smarriti direi, ancor più che increduli.
Quel tipo di espressione che vedo spesso accompagnata da un movimento ondulatorio del capo, come a dire “da domani niente più alcol”. A pensarci bene, specialmente nelle piccole frazioni ben lontane dalla mondanità, non di rado sorprendo qualche povero cristo con la faccia di chi si è appena visto sottrarre le poche certezze accumulate in una vita sobria. In certi posti basta poco per sconvolgere gli equilibri, e figuratevi cosa scatena la vista di uno come me su di una banana a pedali e con un orsacchiotto sulle spalle (in Australia, nei tratti desertici sono sicuro di aver mandato fuori di cotenna più di qualcuno; gente su Jeep stracariche di carburante e vettovaglie).

melghibson

Tutto il giorno a lamentarsi Melghibson… Oltre che pedalo solo io, mentre lui sta lì a godersi il panorama: “Eh ma che strazio sta bora… È tutto il giorno che piove… E non se ne può più…”

Curioso come i più sfigati del pianeta accolgano col sorriso le cose bizzarre; al contrario, le ricche provincie veneta prima e quella friulana poi mi osserveranno di sguincio; tutti sembrano dire quasi all’unisono: «Qui siamo gente seria, che lavora, i pagliacci non ci interessano». Continua a leggere