[Dizionario autocritico della militanza] C – Communia (omnia sunt)

Pubblichiamo, lettera dopo lettera, il Dizionario autocritico della militanza, uscito su Laspro numero 32 (aprile/maggio 2015). Qui l’introduzione. Se vi ci riconoscete, lo contestate, se volete proporre o scrivere altre voci del Dizionario, commentate o scrivete a lasprorivistaletteraria@gmail.com.

C – COMMUNIA (OMNIA SUNT)

Thomas_Muentzer«Aho, il compagno Peppe s’è comprato casa!»
«Eh già».
«Ma noi l’abbiamo capito il tuo intento, tu sai cosa significano comunione e solidarietà».
«Che vuoi dire?»
«Mica mó credi alla proprietà privata!»
«No, però…»
«Tu ti sistemi poi noi ti raggiungiamo, io, Salvatore, Pasquale, Cinzia, Mariuccia, per qualche giorno, una, due settimane».
«Come una, due settimane?»
«Stai tranquillo Peppi’, ognuno fa qualcosa: chi cucina, chi pulisce il cesso, chi fa la spesa, chi butta la munnezza. Poi dovremo pensare alle attività».
«Che attività?»
«Quelle che abbiamo sempre fatto, Peppi’. Io l’ho vista casa tua, c’ha ‘sta facciata tutta bianca… A Cinzia le facciamo fare un murale bello riot, che ne dici? Uno spettacolo».
«Be’…»
«E poi sul terrazzo un laboratorio di giocoleria, tre volte a settimana».
«Scusa ma io veramente…»
«E mó che c’è? Ti sei scordato che diceva Thomas Muntzer? Omnia sunt communia».
«Vabbe’ ma è casa mia».
«E casa tua è casa nostra. Casa nostra sarà casa tua. Vado a chiamare Salvatore, Pasquale…».

Lettera precedente: B – BICI

#CyclingForPalestine Day 92 – Captain Fragile

Il 17 maggio è arrivato in Palestina Cycling for Palestine – seimila chilometri contro l’occupazione e l’islamofobia, il viaggio in bicicletta di Captain Tom No che Laspro segue sin dalla sua partenza da Roma del 16 febbraio. Ora il giro prosegue all’interno della Palestina sotto occupazione, con la partecipazione anche di cicloviaggiatori palestinesi. È  possibile sostenereCycling for Palestine con un abbonamento speciale a Laspro da 20 euro (10 per la rivista, 10 per Cycling for Palestine).

di Captain Tom No

Perché si deve sapere che te la stai facendo sotto.
Domani passo dall’altra parte, in territorio palestinese. Non sono forse qui per questo? Stamani ho fatto un sopralluogo alla stazione centrale dei bus di Gerusalemme e ne sono uscito sconvolto. Avrei voluto tornarmene a casa, subito, in uno schiocco di dita, con la coda tra le gambe.
La speed machine ha il telaio deformato e anche la ruota posteriore, posso farci solo brevi tratte senza infartare; non ho scelta, devo prendere un autobus. La mancanza di un accompagnatore e la necessità di salire su di un mezzo di linea con quella bici che dà così nell’occhio mi atterriscono. Colpa della troppa violenza delle immagini che la mia mente riceve in ogni momento: fucili d’assalto a tracolla di giovani spalle femminili, come  fossero foulard; vetri blindati, metal detectors, telecamere ovunque. E di contorno gli “orchi”, ossia soldati stanchi, accaldati, nervosissimi; principessine in divisa, o magari in borghese, davvero graziose ma diffidenti come serpi e col dito già sul grilletto. Quella di Israele non è semplice violenza; quand’anche celebrati nel modo più brutale, i più ignobili recessi, quelli più sanguinari di qualsiasi altra parte in guerra, a mio personale avviso quasi perdono consistenza ove messi a confronto con la perversione ideologica,  atavica e stratificata della prospettiva sionista.
I più biechi e repressivi regimi sono state parentesi, lunghe magari, ma nessun altro disegno è mai stato così imperituro è radicato. Mortificare finanche la propria esistenza pur di rivendicarne il diritto su basi religioso-identitarie. Qui si va oltre la barbarie del genocidio o dell’oppressione; si supera l’essenza stessa del male e si arriva alla follia, all’inferno vero e proprio. A ciò che la pittura fiamminga coi suoi rituali di “auto da fe” ha portato su tela: la natura bizzarra e contraddittoria del male.

Anonimo seguace di Hieronymous Bosch, Cristo nel Limbo, c. 1575, Indianapolis Museum of Art

Anonimo seguace di Hieronymous Bosch, Cristo nel Limbo, c. 1575, Indianapolis Museum of Art

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[Dizionario autocritico della militanza] B – Bici

Pubblichiamo, lettera dopo lettera, il Dizionario autocritico della militanza, uscito su Laspro numero 32 (aprile/maggio 2015). Qui l’introduzione. Se vi ci riconoscete, lo contestate, se volete proporre o scrivere altre voci del Dizionario, commentate o scrivete a lasprorivistaletteraria@gmail.com.

B – BICI

BIniziò con un festoso suono di campanelli, a ricordarci che le città erano invase da auto, le guerre si facevano per il petrolio e i nostri muscoli si stavano inflaccidendo come mozzarelle con gli ormoni. Poi diventarono masse critiche, torpedoni di bici in fila e sbrocchi tra chi cominciava il fine settimana con una sana pedalata urbana e chi con l’ultimo ingorgo prima di collassare a casa. All’ultimo stadio, ti immagini armate clandestine in marcia circolare su piazza Venezia, col pizzardone in preda al panico che fischia i rigori per la Juve, autisti dell’Atac in lacrime, slogan urlati al ritmo di trombette e la bandiera con due ruote issata sopra il Quirinale. Al culmine dell’esaltazione ti svegli e ti accorgi che devi andare da Portonaccio all’Eur, piove e c’è sciopero dei mezzi. Smadonnando, chiedi la Panda a tua sorella, metti 5 euro di diesel sperando che basti e dici levati dal cazzo a quello stronzo con la bici.

Lettera precedente: A – Anarchici

 

#CyclingForPalestine – Day 91 Bersaglio mobile

Il 17 maggio è arrivato in Palestina Cycling for Palestine – seimila chilometri contro l’occupazione e l’islamofobia, il viaggio in bicicletta di Captain Tom No che Laspro segue sin dalla sua partenza da Roma del 16 febbraio. Ora il giro prosegue all’interno della Palestina sotto occupazione, con la partecipazione anche di cicloviaggiatori palestinesi. È  possibile sostenere Cycling for Palestine con un abbonamento speciale a Laspro da 20 euro (10 per la rivista, 10 per Cycling for Palestine).

di Captain Tom No

Ogni considerazione a seguire è sotto la mia esclusiva e personale responsabilità; Laspro non risponderà dei contenuti qui riportati quand’anche venissero ritenuti lesivi all’immagine dei soggetti ivi menzionati. Del resto, il mio nick “Tom” sta per Tommaso, e ovunque io vada credo solo a ciò che vedono i miei occhi, perdonatemi.

gerusalemme

Giovani con fucili d’assalto a tracolla, in un giorno qualsiasi in Jaffa Road a Gerusalemme

Da che sono partito ho sempre pensato ai problemi che avrei potuto incontrare alla frontiera, mai mi sarei sognato di passarla liscia al Ben Gurion e mai mi sarei sognato le circostanze nelle quali invece mi trovo a vivere ora che sono a Gerusalemme.
La situazione è diciamo sotto controllo ma è da un giorno e mezzo che scoppio d’ansia tant’è che l’herpes labiale si è rifatto vivo; inoltre da Izmir ho un occhio gonfio e mezzo chiuso, non saprei dire perché.
I problemi iniziano al ritiro bagagli oversize dell’aeroporto di Tel Aviv, dove trovo l’imballo della bici semi sventrato; sono le 22 e non posso mettermi a controllarne il contenuto qui, non voglio richiamare le attenzioni della security, lo farò domani a casa di Yonatan, il tizio che avrebbe dovuto accogliermi. Avrebbe dovuto…
Yonatan all’aeroporto non si presenta, e fin qui lo posso capire: il Ben Gurion dista da Tel Aviv Yafo almeno una ventina di chilometri se non erro, e lui c’ha la Panda, il che rende inutile qualsiasi tentativo di trasportare la bici con l’auto. Continua a leggere

[Dizionario autocritico della militanza] A – Anarchici

Pubblichiamo, lettera dopo lettera, il Dizionario autocritico della militanza, uscito su Laspro numero 32 (aprile/maggio 2015). Qui l’introduzione. Se vi ci riconoscete, lo contestate, se volete proporre o scrivere altre voci del Dizionario, commentate o scrivete a lasprorivistaletteraria@gmail.com.

A – ANARCHICI

AIl sedicente anarchico lo incontri preferibilmente sull’autobus. Rigorosamente affollato. Ti dice: «Io sono anarchico», spiegandoti la sua scelta con la nemesi storica della destra e della sinistra, con la caduta del muro di Berlino e col commosso ricordo di Berlinguer e Almirante che, quelli sì che erano politici onesti. Ti rovina quel che resta della giornata che si profila già avara di soddisfazioni, raccontandoti la sua avversione verso lo stato e le istituzioni (non tutte, salva normalmente quelle in divisa), motivata da una cartella esattoriale o da una multa per divieto di sosta. Non sa neanche chi sia Bakunin e non condividerebbe neanche su Facebook le citazioni di De Andrè sul rifiuto dell’obbedienza, considerando comunque il rubare un delitto anche quando si ha fame. Servi e padroni rappresentano per lui categorie immaginarie. Eppure si professa anarchico e mentre aspetti pazientemente di arrivare alla tua fermata cerchi di riprenderti pensando agli anarchici, quelli veri e non sedicenti. Vestiti generalmente di nero con cane al seguito rigorosamente senza guinzaglio e museruola. Preferibilmente squatter e animatori di qualche movida notturna, messi in mezzo per tutti i peggiori e i migliori misfatti della storia. Dall’attentato di Sarajevo ai tralicci dell’alta velocità passando per la strage di piazza Fontana. Indagati con titoloni sui giornali, prosciolti con impercettibili trafiletti. Birra e musica hardcore. Belli come er sole.

#CyclingForPalestine arriva in Palestina

Cycling for PalestineCOMUNICATO STAMPA
Ramallah, maggio 2015. Dopo tre mesi, 6.000 chilometri, tanta fatica (ma anche molte soddisfazioni) Cycling For Palestine e il capitano Tom No sono arrivati in Cisgiordania. L’iniziativa è partita lo scorso 15 febbraio da Roma per raggiungere in bicicletta Ramallah in Palestina. L’obiettivo? Dare un messaggio di speranza e abbattere il muro del silenzio e dell’indifferenza che circonda i palestinesi, un popolo oppresso da un’occupazione che dura da oltre 67 anni. In queste settimane Tom No ha attraversato, una pedalata dopo l’altra, l’Italia, i Balcani, la Grecia e la Turchia. Adesso la biciclettata toccherà le principali città della Cisgiordania.

«È un viaggio per la pace e contro l’occupazione e le violenze» afferma Tom No. «Attraversiamo paesi, città, villaggi in bici per la gente comune, per i palestinesi e per ogni essere umano sia esso cristiano, musulmano o ebreo. Cycling For Palestine vuole essere un’occasione di incontro tra culture. In queste settimane ho parlato con moltissime persone, sono stato intervistato da giornali e media italiani, turchi, greci, albanesi. Nelle piazze di Bologna, Istanbul, Atene, Tirana e Dubrovnik persone incuriosite dalla mia strana bicicletta mi hanno avvicinato e chiesto i motivi del mio viaggio. In molti mi hanno aiutato o manifestato il loro appoggio. Adesso incontrerò la gente di Ramallah, Nablus, Betlemme, Jenin e Gerusalemme. Non vedo l’ora di rivedere questa bellissima e troppo spesso martoriata terra. Spero di poter riabbracciare le fantastiche persone nei Comitati per la resistenza popolare nei villaggi e nelle città palestinesi che ho conosciuto la scorsa estate nel viaggio di conoscenza e solidarietà organizzato da AssoPace Palestina, accompagnato da Luisa Morgantini, che da anni anche solo perché respirano e restano su quella terra, resistono all’occupazione militare israeliana». Continua a leggere

#CyclingForPalestine – Day 80 Nei pressi dell’antica Troia

Il 16 febbraio è partito Cycling for Palestine – seimila chilometri contro l’occupazione e l’islamofobia, il viaggio in bicicletta da Roma alla Palestina di Captain Tom No che Laspro segue nei suoi sviluppi. È  possibile sostenere Cycling for Palestine con un abbonamento speciale a Laspro da 20 euro (10 per la rivista, 10 per Cycling for Palestine).

di Captain Tom No

cycling for palestine 80

Poco prima di Tekirdag (Turchia)

C’è sempre stato un falco sopra la mia testa, sin dalla Slovenia. Io naturalmente mi illudo che sia sempre lo stesso – il “mio” falco – e che noi si possa arrivare assieme alla fine di questa storia. Fino in fondo. Fino a quel maledetto muro.
Del resto, quando la smetteremo di tirare su muri io non ci sarò più, voi non ci sarete più e tuttavia, forse, saremo stati proprio noi, quelli che ci son cresciuti sotto, ad aver iniziato la distruzione di quel fottuto muro. Io ci spero, prego e pedalo.
Prima di arrivare dove sono sosto a Biga, una cittadina non lontano da Bandirma che è già un porto di discreta importanza sulla costa turca del “lato asiatico”. Tra Biga e Bandirma 72 chilometri di soli campi; non un albero sotto cui ripararsi dal sole, non una piazzola di sosta o posto di ristoro; che ci facevi tu, piccola tartarughina, in mezzo alla carreggiata? Continua a leggere

La storia contemporanea scritta dalle donne (Rojava, Kurdistan) – pt. 2

di Patrizia Fiocchetti (qui la prima parte)

Al principio fu la Dea, Eshtar, ispiratrice della società matriarcale inclusiva e pacifica.
Al principio fu la Terra, i suoi frutti venivano raccolti e distribuiti dalle donne, le madri creatrici della vita, a tutti i membri del clan.
Al principio fu condivisione, assenza di barriere fisiche ed emotive, ogni membro della società svolgeva il proprio compito sulla base della necessità collettiva.
Al principio fu la pace, nulla c’era da conquistare. L’essenza di Eshtar impregnava il primo nucleo sociale umano e lo proteggeva perché Dea-Madre che tutto ha creato.
Poi venne l’alleanza tra il sacerdote e il guerriero esperto e la logica della proprietà prese il sopravvento sulla famiglia-società. Il patriarcato inventò l’economia del profitto e ne fece il proprio culto. Vennero posti i confini, la guerra divenne lo strumento che regolava i rapporti basati sull’uso della forza spogliata del proprio termine difensivo. I ruoli divennero specchio del potere; l’uomo costituì la gerarchia mentre la donna fu scippata di ogni status e reclusa tra le pareti domestiche.
Così nacque la schiavitù che non aveva colore di pelle, appartenenza religiosa o etnica. La donna fu il primo schiavo dell’umanità.

Prendere il kalashnykov e combattere è stato naturale, una scelta obbligata. Quando quelli del Daesh hanno sferrato il loro attacco a Kobane io ero pronta, intendo emotivamente, sapevo quale fosse il mio compito, era l’ennesima sfida contro il sistema patriarcale che affrontavo nella mia vita.
KurdistanGià, fin da quando ho avuto coscienza di me in quanto donna in una società come quella curda che ti reprime ed esclude, ho iniziato il mio percorso personale di resistenza. E non solo affrontando gli uomini della famiglia, mio padre che mi puniva e mio fratello che mi controllava o mia madre divisa tra la paura per il mio futuro e la difficoltà a comprendere una figlia “ribelle”. No, il nemico vero era radicato dentro me, nella mia mentalità plasmata da un’educazione in cui la donna era annullata, nutrita dal sistema sociale in cui mi muovevo, divenuto per me modello culturale, religioso, tradizionale.
Ma sono stata fortunata, il percorso di conoscenza era stato aperto da altre donne, non ho fatto altro che entrare in una delle accademie fondate dalle Yekitia Star (Unità Stella) e iniziare la formazione. Ho imparato tanto non solo dallo studio della storia universale o dei movimenti femministi, ma soprattutto dal confronto con le altre donne che venivano a raccontare la propria esperienza di violenza e di come ne fossero uscite. Tutto questo non è stato facile: affrontare me stessa riflessa nelle parole delle altre e toccare come fossi proprio io a tenere in vita quel sistema che mi schiavizzava, è stata la prova più dura e destabilizzante, ma necessaria a che acquisissi quella coscienza personale che mi ha permesso il riscatto della mia identità di donna. Così ho deciso di trasformarmi in un elemento attivo nel cambiamento radicale della condizione femminile e della società in cui vivevo. Continua a leggere

Il tradizionale concerto del primo maggio

illustrazione Rotiroti per Pera

di Alessandro Pera

Monologo tratto dallo spettacolo Ehi tu! Il lato cattivo di Ernesto Guevara di Antonio Sinisi e Alessandro Pera

Io veramente non posso soffrire l’espressione il tradizionale concerto del primo maggio. Però sopporto, non dico niente. Tradizionale de che? Per me il primo maggio è bandiere rosse, cortei, rivendicazioni… una volta ci caricarono, a piazza del Popolo, anni fa, era il primo maggio… Il primo maggio era di lotta, con i comizi, Bella ciao e Bandiera rossa, e poi, certo, si andava anche a fare la gita fuori porta, con le fave, il pecorino, il vino… però c’era sempre un vecchio compagno che ti raccontava la storia vera, quella degli anarchici impiccati, il bill delle otto ore, e poi Portella delle Ginestre e tutto il resto. Ma ti dicono e basta con queste cose vecchie, bisogna stare con la gggente, ascoltare i gggiovani e tutte queste G alla fine ti assediano.

Allora io ci sono andato, al tradizionale concerto del primo maggio. Da solo perché certe cose bisogna farle da soli, per mimetizzare il disagio… Ci sono andato al tradizionale concerto, per stare con la gggente, per ascoltare i gggiovani, e ci stavano i giovani, era pieno, ma mi sa che pochi lavoravano lì, e c’era una ragazza sul palco che aveva il nome di un fiore, che so, Viola, Rosa, Fiordaliso, e cantava una canzone… no, non era Bandiera rossa, era una canzone che parlava di un ragazzo, forse si erano lasciati, cioè lei c’era rimasta male, cioè questa Fiordaliso, Rosa o che ne so, e tutti i ragazzi la cantavano insieme, tutti meno me, era ovvio che ero fuori posto, lo sapevo, allora mi dico vado a fare un giro, comincio a camminare tra la folla e… l’ho visto, lui c’era.

Che Guevara c’era, c’era al tradizionale concerto, cioè era una maglietta, ma bella, grande, XXXLLL, appesa in alto, che sventolava sopra una bancarella. Il Che c’è! Allora mi avvicino, penso forse hanno anche le opere scelte, la vecchia edizione, con la copertina verde, le spillette, e poi… ma quello con la barba, chi è Ho Chi Min? Camilo Cienfuegos? No! No! È padre Pio, lì vicino al Che, c’è la maglietta di padre Pio, e dall’altra parte Totti… No, per carità è un grande campione, ma quello è un altro sport, è proprio un altro campionato, non è lo stesso del Che e padre Pio, per carità, brava persona eh, però mi sa che era uno di quelli che considerava Nenni un pericoloso sovversivo… Allora sono andato via e non sono più tornato al tradizionale concerto …

Alcuni anni dopo ho visto un manifesto elettorale. Era di uno un sacco di sinistra. E c’era il Che Guevara. Insieme ad altri. Sai quelle cose che fanno adesso, quali sono i tuoi riferimenti, e loro mettono tutti i santini, avete visto alle primarie del centro sinistra, erano santini veramente, c’era papa Giovanni, cardinal Martini e via via tutti gli altri, mancava soltanto san Gaspare del Bufalo. Lui, non so perché non lo hanno voluto. E in quel manifesto, c’erano tutte le fotine, a cui il candidato faceva riferimento, era un candidato un sacco di sinistra … C’era Gramsci, e ci sta, vicino al Che, niente da dire. Ma c’era anche Gandhi, cioè come dire il suo opposto, con la nonviolenza, ma non era il più strano, c’erano anche John Lennon, Madre Teresa di Calcutta, no dico Madre Teresa di Calcutta, e Marilyn Monroe. A parte tutto, li vedo poco insieme per stili di vita diciamo, e poi non è che Che Guevara e Marilyn Monroe avevano lo stesso rapporto con Kennedy, per dire, lui non è stato neanche invitato al suo compleanno… E allora mi sembrava che il Che fosse molto a disagio, in quella compagnia, mi guardava, e sembrava che lui mi dicesse lì dal manifesto: Ehi tu! Parla male di me per favore.

Ho preso allora l’impegno di parlare male del Che, di restituirlo alla sua dimensione scomoda e ingombrante, ai suoi pensieri, alle sue vere parole, alle sue azioni. Adesso tutti vogliono piacere a tutti, essere simpatici, perché hanno qualcosa da vendere o vogliono il voto. Ma se tu vuoi cambiare il mondo non puoi piacere a tutti, se parlano bene di te ti devi insospettire, che stai sbagliando qualcosa. A volte ti odiano, a volte cercano di stravolgerti. Anche a Mandela è successo. A parte Feltri, che non si batte, che ha titolato “Muore l’eroe dell’apartheid”, cioè tutto al contrario!

Hanno trasformato Mandela in un eroe della non violenza, è non è giusto, perché lui non lo era. Pochi ricordano che a un certo punto, aveva già scontato quindici anni di carcere, e allora gli dicono se vuoi uscire, basta che fai una dichiarazione, due righe e sei fuori. E mica doveva dire che i bianchi sono meglio dei neri o cose simili, che l’apartheid è giusta, no, doveva solo dire che rinunciava alla lotta armata come metodo di lotta, solo quello. E lui ha detto no. Non ha firmato. Non ha firmato e si è fatto altri dieci anni di carcere. Però questo pochi lo hanno ricordato, perché a questo punto bisogna farne un santo e giocarselo contro i violenti. E lo stesso hanno fatto in molti con il Che. Anche quello lì, che è sempre giovane, come si chiama giovanotto, Lorenzo, Cherubino, lui crede in una grande chiesa, che va da Che Guevara e Madre Teresa. Ma così non si fa un buon servizio alla verità, diventa tutta una melassa e non riesci a scegliere, puoi cambiare maglietta con rapidità. Lui invece, Guevara, è rimasto coerente, ha mollato tutto, non come certi un sacco di sinistra, attaccati alla poltrona e alla poltroncina; lui firmava le banconote, era stato ministro, ma ha mollato tutto, per andare a combattere in Congo e in Bolivia, in prima persona, mettendo il suo corpo, come amava dire, in ogni luogo del mondo, contro ogni sfruttamento, con ogni mezzo necessario. Questo è il Che che invece voglio raccontare, urticante e spiacevole, intransigente, testardo, rivoluzionario. Se raccontiamo chi è stato veramente il Che, il suo lato cattivo, quello che ha veramente detto e quello che ha realmente fatto, chi vuole potrà strapparsi la maglietta dal petto, perché non gli corrisponde, e altri indossarla con una diversa consapevolezza.