È in uscita il numero 32 di Laspro. In questo numero: Il tradizionale concerto del primo maggio di Alessandro Pera, Abuela di Maria Giuseppina Ottaviana Piras, Il cammino di Kobane di Patrizia Fiocchetti, Gli alberi all’inferno di Alessandra Amitrano e le rubriche di Ilario Galati e Duka. Infine: A margine del corteo. Dizionario autocritico della militanza, a cura della redazione di Laspro, qui anticipato dall’editoriale di Alessandro Bernardini. Il dizionario verrà pubblicato, un po’ alla volta, qui sul blog. Se volete potrete integrarlo con vostre “lettere” e definizioni. Preparatevi.
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Sulla prima pagina di questo numero, il murale di Aladin Hussein Al Baraduni al Csoa Scurìa di Foggia (foto di Federica Frisoli)
di Alessandro Bernardini
Stavolta è stato per amore.
Questo numero di Laspro nasce dal bisogno di distruggere quello che ci rappresenta.
Ci spazziamo via da soli. Disintegriamo le certezze. Abbandoniamo i posti di combattimento per andare un secolo a guardare quello che c’è dall’altra parte. E torniamo indietro, perché quello che c’è dall’altra parte non fa ridere per niente.
Un amore che mortifica gli occhi, s’infila nelle cellule e si scarica sui polpastrelli. A, B, C, D, E fino alla fine, senza che davvero c’importi della semantica.Le parole sono i nostri sassi. E trapassano la pelle, l’acciaio, il cranio, le mascelle dei cani da guardia, volano giù dalle finestre come vasi scivolati dalle mani.
Come potevamo raccontarci senza provare almeno una volta a ridere di noi? A prenderci seriamente per i fondelli. Che dignità! Siamo e siete – per una volta – messi al microscopio. Per vedere le imperfezioni della pelle, l’inesorabile turbinio di un’irrisione bibliografica.
Quello che fa ridere (seriamente) siamo noi che escludiamo (per fortuna) la possibilità di resa. Questo implica responsabilità. Se il mondo così com’è non vi piace e fate qualcosa per cambiarlo, a modo vostro, dovete essere disposti a morire dal ridere.
Anche quando non fate altro che serrare i pugni pronti alla battaglia. Anche sotto i lacrimogeni e di corsa via, giù per la strada quando si scappa dalla marea vestita di blu e nero, con i caschi abbaglianti e il potere fallico in mano.
Se c’è un senso è questo: ridere di quello che siamo e soprattutto di quello che non abbiamo mai pensato di essere.
Ognuno col suo passato, con la sua dose di endorfina narrativa.
Ognuno col suo testamento idiota fatto di paragrafi, dittonghi e aggettivi.
Le lettere. Prese una a una sono frustranti, hanno qualcosa di intollerabile, sono come un conato di vomito rimandato giù.
Le mettiamo insieme per necessità.
E allora eccolo qua: il dizionario autocritico della militanza.
Legate assieme le lettere formano qualcosa che somiglia al cosmo, a un sistema colmo di grazia. La rabbia della resistenza e la necessità di trovare alla fine della frase quel punto che ci lascia confusi.
Voi che leggete sorridete perché sapete che dalla A alla Z c’è un pezzo di voi. C’è quello che vi rende parte di un assemblaggio difettoso e magnifico.
Buona lettura, quindi, e non l’abbiate a male se vi riconoscerete in una lettera o in più d’una.
Vorrà dire che siete andati dall’altra parte e poi in un attimo, coi denti scintillanti, siete tornati a casa.
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