a cura di Giusi Palomba
Come accade in ogni spazio pubblico, la rete è un luogo in cui si possono sviluppare violenze più o meno palesi, dove possono trovare terreno fertile sessismo e discriminazioni. È ormai chiaro quanto la comunicazione mediata, lungi da essere strumento di partecipazione attiva sostenuta dalla retorica della sua “bontà”, sia invece spesso esasperazione di comportamenti antisociali e distruttivi, tanto che non è più tanto strano pensare che l’hatespeech rafforzi e aggravi la violenza agita sia in pubblico che in privato.
In quanto rivista coinvolta nelle dinamiche sociali, ci preme soffermarci in occasione di un numero dedicato alla violenza sessista, anche sulla sua versione social, così spinosa e difficile da contrastare. Si può dire che oltre all’uso ordinario che si fa dei social, esiste l’uso che ne fanno gli attivist*, che in quanto tali sono talvolta espost* in maniera significativa negli scambi e confronti in rete, poiché veicolo di contenuti sensibili e obiettivo di soggetti e realtà organizzate che fanno dell’anonimato – difficile nella vita reale – una condizione ottimale di sfogo della propria ferocia.
È possibile vivere in maniera sana l’esperienza dei social network? Già il collettivo Ippolita parla di “informatica conviviale” per intendere una maniera consapevole di stare nella rete, ma gli scontri e gli attacchi esistono, come esistono i troll e chi sguazza nell’alfabetismo funzionale per creare scompiglio, ed è difficile incontrare spazi virtuali che ne siano davvero immuni, oltre che pericoloso dare per scontato che chi abbia più esperienza politica sia per definizione in grado di gestire lucidamente tutto ciò. Dunque come difendersi e sovvertire così la sensazione di impotenza che in questi casi riguarda in particolare i soggetti vulnerabilizzati? È una domanda aperta e non riusciremo ad esaurirla qui, ma è bene iniziare a porsela e a ragionare sui giusti strumenti.
Ciò che possiamo già fare è riassumere in un breve manuale le esperienze maturate da chi utilizza anche i social network come strumento di diffusione di contenuti significativi e si è ritrovat* spesso davanti alla difficoltà obiettiva di uscire da un conflitto, quando non di fronteggiare una violenza vera e propria, un attacco coordinato, con conseguenze anche pesanti sia dal punto di vista psicologico che di quello della libertà di diffusione in rete di idee indipendenti. (Questo ultimo punto speriamo di riuscire a trattarlo con più calma, di approfondire successivamente, perché diventa delicato e importante esprimersi a proposito.)
Detto questo va sottolineato che la nostra stessa presenza come avatar e la messa in condivisione di contenuti su piattaforme commerciali, ci sottopone a vivere tra le parentesi di una contraddizione insuperabile. Davvero troppo ingenuo pensare che lo scopo dei social network per come li conosciamo oggi, possa essere filantropico o che i criteri di valutazione o di risoluzione dei conflitti siano neutri o rispondano al sistema di valori che noi o la nostra comunità di riferimento riteniamo giusti e imprescindibili. In sostanza, far parte di un social network deve essere una scelta ponderata: in caso di conflitti dobbiamo aspettarci che gli interessi commerciali vengano garantiti prima dei diritti umani.
Questa è l’enorme contraddizione che cerchiamo di rimuovere ogni giorno. Senza negare che sia possibile hackerare certe logiche, di certo non assumeremmo mai Ronald Mc Donald come nutrizionista di fiducia e nemmeno dovremmo aspettarci che Facebook sia un fedele alleato nella lotta contro il patriarcato, l’eteronormativismo, gli stereotipi di genere. Il capitalismo digitale si fa così immateriale da portarci spesso in direzioni poco percorribili. L’impegno costante dovrebbe essere messo nell’inventare spazi nuovi e liberati, anche virtuali.
Tornando al pratico. Su Laspro si è già parlato diverse volte di rapporto coi social network, di rete, e di autodifesa digitale. Dunque lo rifacciamo da una prospettiva di genere interpellando questi stessi soggetti e collettivi amici che militano in ambienti femministi ed lgbtqi e operano in rete o la studiano. Raccogliamo spunti per una fruizione positiva di strumenti che influenzano fortemente il quotidiano, a partire dal nostro umore fino al comportamento sociale, dall’autostima alla scelta o no di collettivizzare le proprie esperienze e farne strumento di autodeterminazione.
Chiunque abbia voglia di contribuire con ulteriori punti, ci contatti alla pagina facebook di Laspro o all’indirizzo beast-it@autistiche.org.
Ecco il nostro breve manuale:
1. USA IL SUBVERTISING!
Eretica | ABBATTO I MURI – Attivista/Blog collettivo femminista
“Sono una puttana, embé?”. Utilizza i termini con cui vieni offesa per capovolgerli. Il trucco è riappropriarsi di un termine offensivo in chiave positiva, autodeterminata e libera. Sui nostri canali abbiamo iniziato con questa tecnica tempo fa ed ha funzionato. Ad esempio l’immagine del bambino atterrito e la battuta “mangia tutto che sennò arriva il gender”. Contro il body shaming abbiamo pubblicato cicatrici cosce con cellulite gambe non depilate e altro per raccontare di quel che siamo fatte in realtà. Molti altri materiali per approfondire il tema sono disponibili sul blog.
2. RISPONDI PER CHI LEGGE
Rispondi per chi legge, non a chi pratica bullismo o sessismo in rete. Lascia qualcosa di utile a chi incontra quelle parole e non perdere tempo a parlare con chi non sa ascoltare. Usa l’ironia e l’autoironia per installare un utile e fertile dubbio non su quello o quella che ti offende, ma sul modo e sull’argomento usato per offendere. Sfrutta la tua risposta (una sola!) per aprire una strada a chi legge, con un nome, un link, un concetto. Rendi le sue brutte parole una bella occasione.
3. CHI TI ATTACCA E PERCHÉ?
ETHAN BONALI – attivista trans
Quando si subisce un attacco, nell’ottica di difendersi, è importante comprendere chi lo fa più che perché. Questo serve a filtrare le ripercussioni psicologiche, risparmiare energie ed essere efficaci in una eventuale risposta. È importante, infatti, anche saper decidere se vale la pena o no rispondere.
- Cercate di capire chi vi sta attaccando, magari andando a guardare il suo profilo Fb, analizzando il suo lessico, lasciandolo esporsi per farlo sbilanciare.
- Non ponetevi mai in una posizione di svantaggio come giustificare la vostra identità o orientamento sessuale o lasciandovi definire.
- Non cancellate conversazioni spiacevoli ma rileggetele dopo del tempo, a mente fredda, per imparare dagli errori, per individuare i vostri punti deboli e quelli di chi vi attacca poiché, solitamente, le argomentazioni sono sempre le stesse. Riesaminare le dinamiche vi renderà più forti, consapevoli e pronti in futuro.
- Praticate il distacco da chi vi attacca mediante l’ironia e non andate mai sul personale perché questo crea un legame fortissimo con l’interlocutore.
Il punto che segue, a cura di un collettivo (intervistato anche *qui* e *qui*) impegnato negli ultimi tempi a studiare anche gli effetti neurocognitivi della presenza in rete, specie in caso di scambi/scontri sterili e senza soluzioni, potrebbe essere il primo e quello da cui prescindono tutti gli altri:
4. FAI CASO AI TUOI STATI D’ANIMO E AL TEMPO CHE PASSA
Collettivo Ippolita. Autore di Nell’acquario di Facebook. Ippolita.net
Un’altra notifica, un altro messaggio! Mi innervosisce, o mi eccita? Lo stavo aspettando? Le piattaforme digitali commerciali sono strutturate in modo da richiedere sempre maggiore attenzione e quindi impiego di tempo, tendono a farci entrare in circuiti di interazione automatica. I sistemi di notifica sollecitano l’attenzione, modificando le concentrazioni ormonali nei corpi umani e quindi l’umore. Perdere la nozione del tempo mentre si utilizzano dispositivi elettronici è un chiaro segnale di assuefazione. È possibile educarsi a rallentare e diminuire le interazioni automatiche, limitare la quantità di notifiche e quindi il tempo speso in uno stato di flusso.