Pubblichiamo, lettera dopo lettera, il Dizionario autocritico della militanza, uscito su Laspro numero 32 (aprile/maggio 2015). Qui l’introduzione. Se vi ci riconoscete, lo contestate, se volete proporre o scrivere altre voci del Dizionario, commentate o scrivete a lasprorivistaletteraria@gmail.com.
I – INDIGNATI
In principio erano spagnoli. Accampati in tende canadesi, definiti sulle colonne dei giornali indignados, con quella esse finale tanto melodica e tanto pendant. Poi, la storia si ripete almeno due volte, ed ecco la farsa italiana. L’indignato tricolore è un leone da tastiera, un bulimico somministratore di tweet, commenti e like. Scende in piazza anche lui saltuariamente, ma quando lo fa la piazza lo sconcerta e lo travolge. In piazza trova gli arrabbiati che lui, proprio, non sopporta e che, fiero difensore della legalità qual è, denuncerebbe volentieri alla più vicina stazione dei carabinieri. L’indignato, infatti, non sfascerebbe mai una vetrina o un bancomat, non resisterebbe mai a una carica della polizia. Al massimo denuncerebbe il sopruso su un blog o una lettera al direttore chiedendo le dimissioni del questore di turno. Critico del sistema, non lo mette realmente in discussione. La macchina funziona, basta dare olio al motore e sostituire gli inetti con i capaci e i raccomandati con i meritevoli.
L’indignato è generalmente italocentrico. Pensa che tutto accada solo nel bel paese che chiunque ci invidia per le sue bellezze. Anche se, al massimo, ha frequentato all’estero qualche esclusivo resort o villaggio turistico. L’indignato è la versione moderna del riformista. Una versione ancor più sbiadita e appannata portatrice dell’illusoria idea che l’onestà sia un dono genetico e il merito, una qualità che può prescindere dalle diseguaglianze sociali.