Laspro 36 (maggio/giugno 2016) nasce in un tavolo da osteria, dagli attentati a Bruxelles, da quant’è bravo papa Francesco, dal Daesh e le teste mozzate, dai giornalisti in giro per Torpignattara alla ricerca di aspiranti kamikaze, dai family day e dai militanti antirazzisti che studiano l’Islam per dire che aspira alla pace, dalle marmellate regalate ai preti agli attici dei cardinali, dagli atei che hanno sempre Dio in bocca alle Scritture di tremila anni che ci insegnano a vivere alle prese di posizione celesti sui disegni di legge: è un grido. È l’insofferenza dell’ateo.
In questo numero: LA PRIMA COMUNIONE Alessandro Bernardini – SUNDAY BLOODY SUNDAY Sabrina Ramacci – DACCI OGGI IL NOSTRO INTEGRALISMO QUOTIDIANO Patrizia Fiocchetti – CRISTO IN CROCE Valerio Musillo – ASPETTANDO I BARBARI Nicola Bonazzi – SAN BASILIO: LA BORGATA DELLA BALENA SPIAGGIATA Duka – UMANE, SACRE SCRITTURE Antonia Caruso – MAI SENZA RETE a cura di Rete Iside.
Editoriale
di Emanuele Boccianti
A un certo punto della mia vita diventai ateo. Avrei potuto compiere questa scelta per un sacco di motivi “politici”: vivo in uno dei paesi in assoluto più collusi col potere secolare della Chiesa, un potere al tempo stesso tangibile e invisibile, e, come leggerete nel corso di questo numero, le ragioni per cui si possa crescere con uno spiccato atteggiamento di ribellione o di insofferenza verso il cattolicesimo non sono poche, e secondo me tutte giuste. C’era un “però”, almeno per il sottoscritto. Ateismo come ribellione? Poteva andare bene, ma non per molto. Dopo un po’ si diventa grandi e la ribellione deve trasformarsi, essere inglobata in un processo più ampio, adulto. È un po’ come rifiutare la verdura da piccoli. Che in certi casi – magari ne sapete qualcosa – è stato un rifiuto che aveva un deciso sapore politico, appunto, di resistenza al potere genitoriale, di rivincita. Fino a che non si diventa grandi, il che vuol dire che ci si comincia a muovere nel mondo staccando gli ormeggi che ci assicurano alla nave madre, e le cose che ci succedono finiscono per avere un colore – e un sapore – del tutto nuovo: è cambiato il contesto.
Tipo che siete in trattoria con una ragazza che vi piace e lei ordina una cicoria ripassata; la osservate guardinghi, un po’ di sottecchi, e vi rendete conto che se la sta davvero gustando. Facendo finta di niente allungate la mano e ne tirate su una forchettata, e improvvisamente BAM!, avete scoperto la delizia della cicoria ripassata, con tanto aglio e peperoncino. E vi siete resi conto che lo scontro politico va trasferito su un altro piano. Per me fu uguale.
Crescendo mi sono reso conto che rifiutare la verdura della religione non era qualcosa che volevo fare per non darla vinta ai preti o ai bigotti, ma perché senza un dio che funzioni da ultima istanza morale e teleologica, la narrazione della mia vita sarebbe stata molto più interessante. Agire eticamente diventava una scelta pura – e molto più misteriosa – se non esisteva lo stimolo del castigo divino (un modo di pensare che ho sempre trovato affetto dal modello del padre autoritario/figlio non adulto). Di più: se non esisteva alcuna vita dopo la morte, la mia esistenza tornava ad avere un suo perfetto baricentro interno, il suo senso non era più aldilà, ma era proprio qui, proprio in ogni momento, che è prezioso perché ne abbiamo a disposizione un numero finito. E ho compreso che la differenza tra me e un credente (in generale) è che abbiamo semplicemente dato due risposte esistenziali diverse al problema che hanno tutti, e cioè che la vita è un vero casino.
Per me la realtà è un po’ meno insensata e ostile perché ho scelto di raccontarmela senza nessun vecchio con la barba bianca; per lui è vero esattamente il contrario. Ma nessuna delle due scelte è intrinsecamente migliore, perché non hanno a che vedere col valore di verità dei nostri assunti, bensì con il loro valore esistenzialmente strategico.
Un sacco di atei però non sono arrivati alle stesse conclusioni, mi sembra. È come se avessero continuato a rifiutare la cicoria tutta la vita, irrigidendosi sempre più nella loro convinzione che sia cattiva, al punto che non l’hanno mai più provata. Sono ancora ribelli in fase vetero-adolescenziale, e quella rigidità, anche se non se ne rendono conto, gioca contro di loro. Tanto da farli assomigliare, opposti e simili, ai credenti che detestano. Perché si sono convinti che il loro punto di vista è intrinsecamente giusto. E il punto di vista razionale è quello corretto, l’unico. Se esista o meno il tipo con la barba bianca nessuno lo sa di fatto, e chi pretende di avere certezze gioca sporco, in qualsiasi campo giochi. E per quanto riguarda ragione e razionalismo, esigere che l’universo ragioni come facciamo noi è anch’essa una pretesa infantile. Come scriveva un autore di fantascienza tempo fa: «Per quanto possiate desiderarlo, l’universo non è costretto a restare serio mentre lo osservate». Mi colpì molto quella frase. Ricordo di aver pensato: se non lo è neppure l’universo, figuriamoci se devo sentirmi obbligato io a essere serio.