Pubblichiamo, lettera dopo lettera, il Dizionario autocritico della militanza, uscito su Laspro numero 32 (aprile/maggio 2015). Qui l’introduzione. Se vi ci riconoscete, lo contestate, se volete proporre o scrivere altre voci del Dizionario, commentate o scrivete a lasprorivistaletteraria@gmail.com
V – VEGANO
Un altro mondo è possibile, uno slogan che da Seattle 1999 in poi ha unito nella lotta tante tribù di ribelli metropolitani e planetari, veri o sedicenti tali. Un altro mondo è possibile anche per i vegani, particolare tribù culinaria e degustativa inserita a vario titolo nell’universo movimentista. Tribù che si colloca preferibilmente in alternativi locali situati in quartieri da movida notturna (dopo apericena, ovvio), o in centri sociali dalle migliori o peggiori tradizioni da scontro sociale.
Te li ritrovi seduti con il loro look ricercatamente disordinato durante cene di sottoscrizione per compagne/i processati/e e, tra un trionfo di cannellini e un risotto rigorosamente verde, ne scruti linguaggi e movenze nel tentativo di scoprire i loro bisogni e le loro vere o presunte istanze di lotta. Così capisci che i vegani stanno ai vegetariani come il partito comunista d’Italia stava ai socialisti già corrotti dal virus riformista ai tempi del congresso di Livorno del 1921. E, andando ancora più a fondo, ti accorgi che questi vegani non rappresentano neanche il limite ultimo dell’estremismo culinario. Oltre ci sono i crudisti e, ancor più oltre, ci sono i fruttariani simbiotici. Personaggi, questi ultimi, che mangiano soltanto frutti colti direttamente dagli alberi.
Alieni a ogni compromesso sarebbero definiti sui poco originali quotidiani nazionali come autonomi, antagonisti o anarcoinsurrezionalisti. Poco disposti a qualsiasi trattativa istituzionale, figuriamoci col fruttivendolo di turno che magari vuole mollargli una mela macrobiotica spacciandola come appena caduta da un albero. E mentre perdi quel poco di senno che ti resta mandando giù un vino necessariamente biologico, ripensi a quanto avesse ragione quel buontempone di Mao quando sosteneva che la rivoluzione non è un pranzo di gala.