Il 17 maggio è arrivato in Palestina Cycling for Palestine – seimila chilometri contro l’occupazione e l’islamofobia, il viaggio in bicicletta di Captain Tom No che Laspro segue sin dalla sua partenza da Roma del 16 febbraio. Ora il giro prosegue all’interno della Palestina sotto occupazione, con la partecipazione anche di cicloviaggiatori palestinesi. È possibile sostenereCycling for Palestine con un abbonamento speciale a Laspro da 20 euro (10 per la rivista, 10 per Cycling for Palestine).
di Captain Tom No
Ci si abitua a tutto nella vita. Io per esempio mi sto abituando ai coloni che girano attorno al piccolo edificio in cui mi sono, diciamo, sistemato. Loro sono qui per provocare e noi per respingerli e per filmare. Ci si abitua persino all’esercito, che la mattina alle otto te lo trovi già implotonato davanti al cancello.
Nelle ore centrali e in quelle tardo pomeridiane invece c’è un bel commando di capre le quali, noncuranti della situazione, brucano e scacazzano placide, salvo qualche sporadica cornata al piccolo cane che in teoria dovrebbe fare da pastore, e che in realtà non si capisce bene che ruolo abbia se non quello di essere mero oggetto di sfogo. L’itinerario delle capre prevede anche uno stretto passaggio tra due mura a secco, con alla fine una scala in ferro piuttosto ripida; e non vi dico che situazioni si vengono a creare quando il gregge s’arrampica sui pioli: spinte, cornate, calci, momenti di altissima tensione. Il cagnetto in una nuvola di povere scaraventato qua e là a testate, una roba decisamente inquietante insomma.
Con Em Abed e la sua bellissima casa a Hebron, vicino Shuhada street. Ieri sera ho potuto assaggiare sulla pelle l’umiliazione dei checkpoint: un gruppo di coloni ha deciso di creare disordini e in tutta risposta l’esercito ha chiuso il checkpoint ai palestinesi. Tra loro uomini anziani in attesa da ore, in piedi, a cui si impedisce persino di tornare a casa.
Pranzo da Em Abed, la quale ha una bellissima casa proprio in Shuhada Street che da dove sono io è a due passi letteralmente. Shuhada Street e i suoi piani in successione, non saprei dire se più spettrali o più surreali: porte in ferro sprangate dall’esterno e grate alle finestre, soldati, torrette. Con gli accordi del ’96 che ne stabilivano la riapertura e il libero accesso ai palestinesi, gli israeliani ci si sono puliti il culo con licenza parlando, e la ratifica l’hanno siglata col filo spinato e del buon acciaio.
Ma fatto sta che grazie a Sohaib riuscirò a trovare tutto, basilico fresco, cipolla fresca, carne macinata, carote, aglio e pasta italiana. Non mi ci vorrà molto per preparare un discreto ragù. Strano poi, non è da me. Io sono negato in cucina. Ebbene si, ho fatto la spesa e ho cucinato per sette persone. Io. In Palestina. A Hebron città polveriera. Arrivo con la bici e faccio fettuccine al ragù, per i palestinesi. Pazzesco davvero.
La casa ha un ingresso su strada con un’ampia scalinata che termina in una corte; da questa poi si accede a ognuno dei vani coperti, cinque in tutto: cucina, bagno e tre camere. La corte funge anche da soggiorno e zona pranzo ed è davvero piacevole starsene tra le sue fresche mura in questi giorni di caldo opprimente. Ovviamente non si è potuto evitare di installare una robusta grata in ferro di dimensioni pari all’area della corte stessa; sospesa a circa sei metri da terra, la grata protegge le nostre teste da pietre o oggetti vari che erroneamente i coloni potrebbero scagliare in modo reiterato e sistematico. Ad ingentilire le sue maglie non può esserci l’edera, datosi che questa necessita di posizioni fresche a mezz’ombra o a ombra, pertanto si è optato per della juta plastificata di colore verde, non bella certo ma che facilmente può illudere l’occhiata fugace, e sicuramente fornisce riparo dal sole cocente e tonalità appropriate. Continua a leggere →