#CyclingForPalestine rewind – Day 125 I due giorni del Ben Gurion

Tom No è ritornato dalla Palestina, con un carico di contatti e di progetti da realizzare e di cui ci parlerà, a partire dall’iniziativa di Laspro di venerdì 10 luglio. Intanto, ha ancora alcune storie da raccontare del suo viaggio in bicicletta, da Roma alla Palestina: seimila chilometri contro l’occupazione e l’islamofobia.
CASALEFALCHETTI

di Captain Tom No

Roma. Ed eccoci qua. Per fare un bilancio è ancora presto; non si possono tirare le somme dopo sole quattro settimane da che son tornato, due delle quali vissute in stato confusionale grave e altrettante in una specie di bolla post sbronza.
Ultimamente mi diverto a dimenticare i resti alla cassa, a perdere le chiavi, il cellulare, gli occhiali, il tabacco, insomma tutto ciò che dovrebbe seguire itinerari rigorosamente circolari, dalle tasche e ritorno, opta piuttosto per rotte lineari e destinazioni ignote; pertanto passo le mie giornate a chiamarmi da altri telefoni giusto per capire dove sono finito.
Chi mi risponde è sempre molto gentile e comprensivo; onesto soprattutto. Tranne l’ultima tassista, la quale ha insistito tanto per riportarmi lei il cellulare anziché io raggiungerla per riprendermelo.
«Ma no ma no, passo io figurati, qual è il problema?».
Il problema è che se ti dicono così tu cosa ti immagini? Non certo di pagare la corsa. Ma come fa certa gente a far figure per sette euro e venti? Magari gliene avrei dati dieci e volentieri le avrei offerto un caffè. Invece gliene ho dati sette malvolentieri, e i venti fottuti centesimi me li ha abbonati: che quando mi ha detto che c’era il tassametro in funzione devo aver messo su una maschera di disgusto da teatro Kabuki.
Ben mi sta, così imparo a scordarmi in giro le cose, la testa.
Ben mi sta, così imparo a star lontano da certi stereotipi, acciocchè il rapporto insano col danaro non sia appannaggio esclusivo dei sionisti.

Gerusalemme ovest

Gerusalemme ovest

Però cavolo a Gerusalemme – non per dire – un imballo per la bici l’ho dovuto pagare… venti shekel (4,60 euro); tutto sporco e mezzo rotto. Quel vecchio satiro vicino alla King George, per metà capra e per metà ladrone, ha un’officina ciclistica ma in realtà la sua dev’essere un’attività di copertura. Tutto per nascondere il vero core business: traffico internazionale di scatoloni usati, per cui il cosiddetto cartello in realtà è diventato cartone, e una trattativa partita da trenta shekel a momenti finiva nel sangue. Io c’ho provato a trovare un imballo gratis per la bici, voglio dire stiamo parlando di una stramaledettissima scatola destinata al macero, ovvero cellulosa al capolinea: tu! Inutile massa cartacea! Ti si offre un’ultima chance: o preservi dagli urti un biciclo o cedi all’eterno ciclo del riciclo! Continua a leggere

#CyclingForPalestine Day 92 – Captain Fragile

Il 17 maggio è arrivato in Palestina Cycling for Palestine – seimila chilometri contro l’occupazione e l’islamofobia, il viaggio in bicicletta di Captain Tom No che Laspro segue sin dalla sua partenza da Roma del 16 febbraio. Ora il giro prosegue all’interno della Palestina sotto occupazione, con la partecipazione anche di cicloviaggiatori palestinesi. È  possibile sostenereCycling for Palestine con un abbonamento speciale a Laspro da 20 euro (10 per la rivista, 10 per Cycling for Palestine).

di Captain Tom No

Perché si deve sapere che te la stai facendo sotto.
Domani passo dall’altra parte, in territorio palestinese. Non sono forse qui per questo? Stamani ho fatto un sopralluogo alla stazione centrale dei bus di Gerusalemme e ne sono uscito sconvolto. Avrei voluto tornarmene a casa, subito, in uno schiocco di dita, con la coda tra le gambe.
La speed machine ha il telaio deformato e anche la ruota posteriore, posso farci solo brevi tratte senza infartare; non ho scelta, devo prendere un autobus. La mancanza di un accompagnatore e la necessità di salire su di un mezzo di linea con quella bici che dà così nell’occhio mi atterriscono. Colpa della troppa violenza delle immagini che la mia mente riceve in ogni momento: fucili d’assalto a tracolla di giovani spalle femminili, come  fossero foulard; vetri blindati, metal detectors, telecamere ovunque. E di contorno gli “orchi”, ossia soldati stanchi, accaldati, nervosissimi; principessine in divisa, o magari in borghese, davvero graziose ma diffidenti come serpi e col dito già sul grilletto. Quella di Israele non è semplice violenza; quand’anche celebrati nel modo più brutale, i più ignobili recessi, quelli più sanguinari di qualsiasi altra parte in guerra, a mio personale avviso quasi perdono consistenza ove messi a confronto con la perversione ideologica,  atavica e stratificata della prospettiva sionista.
I più biechi e repressivi regimi sono state parentesi, lunghe magari, ma nessun altro disegno è mai stato così imperituro è radicato. Mortificare finanche la propria esistenza pur di rivendicarne il diritto su basi religioso-identitarie. Qui si va oltre la barbarie del genocidio o dell’oppressione; si supera l’essenza stessa del male e si arriva alla follia, all’inferno vero e proprio. A ciò che la pittura fiamminga coi suoi rituali di “auto da fe” ha portato su tela: la natura bizzarra e contraddittoria del male.

Anonimo seguace di Hieronymous Bosch, Cristo nel Limbo, c. 1575, Indianapolis Museum of Art

Anonimo seguace di Hieronymous Bosch, Cristo nel Limbo, c. 1575, Indianapolis Museum of Art

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#CyclingForPalestine – Day 91 Bersaglio mobile

Il 17 maggio è arrivato in Palestina Cycling for Palestine – seimila chilometri contro l’occupazione e l’islamofobia, il viaggio in bicicletta di Captain Tom No che Laspro segue sin dalla sua partenza da Roma del 16 febbraio. Ora il giro prosegue all’interno della Palestina sotto occupazione, con la partecipazione anche di cicloviaggiatori palestinesi. È  possibile sostenere Cycling for Palestine con un abbonamento speciale a Laspro da 20 euro (10 per la rivista, 10 per Cycling for Palestine).

di Captain Tom No

Ogni considerazione a seguire è sotto la mia esclusiva e personale responsabilità; Laspro non risponderà dei contenuti qui riportati quand’anche venissero ritenuti lesivi all’immagine dei soggetti ivi menzionati. Del resto, il mio nick “Tom” sta per Tommaso, e ovunque io vada credo solo a ciò che vedono i miei occhi, perdonatemi.

gerusalemme

Giovani con fucili d’assalto a tracolla, in un giorno qualsiasi in Jaffa Road a Gerusalemme

Da che sono partito ho sempre pensato ai problemi che avrei potuto incontrare alla frontiera, mai mi sarei sognato di passarla liscia al Ben Gurion e mai mi sarei sognato le circostanze nelle quali invece mi trovo a vivere ora che sono a Gerusalemme.
La situazione è diciamo sotto controllo ma è da un giorno e mezzo che scoppio d’ansia tant’è che l’herpes labiale si è rifatto vivo; inoltre da Izmir ho un occhio gonfio e mezzo chiuso, non saprei dire perché.
I problemi iniziano al ritiro bagagli oversize dell’aeroporto di Tel Aviv, dove trovo l’imballo della bici semi sventrato; sono le 22 e non posso mettermi a controllarne il contenuto qui, non voglio richiamare le attenzioni della security, lo farò domani a casa di Yonatan, il tizio che avrebbe dovuto accogliermi. Avrebbe dovuto…
Yonatan all’aeroporto non si presenta, e fin qui lo posso capire: il Ben Gurion dista da Tel Aviv Yafo almeno una ventina di chilometri se non erro, e lui c’ha la Panda, il che rende inutile qualsiasi tentativo di trasportare la bici con l’auto. Continua a leggere

Alfabeto palestinese

Scrissi questo testo nel 2011, al ritorno da un workcamp di lavoro e solidarietà in Palestina, principalmente a Nablus, organizzato dall’associazione Zaatar di Genova nel corso dell’estate. Da allora, le cose sembrano sempre uguali ma in realtà peggiorano, giorno dopo giorno: nuove colonie, nuove forme di oppressione e di apartheid israeliano, nuovi prigionieri, nuovi feriti, nuovi morti. Periodicamente, qualche operazione di sfoltimento demografico della popolazione palestinese, come quella in corso a Gaza a partire dal 6 luglio (bilancio a oggi: 1156 morti, 6700 feriti, 200.000 sfollati su una popolazione di 1,8 milioni di abitanti). I palestinesi però continuano a esistere e a resistere. Allora come oggi, nessuna equidistanza: non c’è una guerra tra due parti in corso. C’è un oppresso e un oppressore. Palestina libera, boicotta Israele. (L.L.)

Arabi
Il primo arabo che incontro è appena dentro la porta di Jaffa, a Gerusalemme, gli chiedo la via del mio ostello e mi ci accompagna. «Sei cattolico?» mi chiede e non so cosa rispondere. «Sì» dico «sono italiano». «Io sono cristiano» dice lui, troviamo l’ostello e mi saluta, «you’re welcome» risponde al mio «thank you». Ho imparato, al prossimo dirò shukran. L’ultimo lo incontro appena fuori dalla porta di Jaffa, è un tassista che mi dice di stare attento agli autisti dell’autobus per il Ben Gurion, l’aeroporto di Tel Aviv, perché «sometimes they are police». In mezzo, un mare di inviti, incontri, mani strette, tè, ringraziamenti e quelli che da noi chiamiamo dispregiativamente salamelecchi. Al-aikum salaam, gente.

Bambini
I bambini di Nablus quando colorano escono dai contorni, quelli di Hebron scappano tra le gambe dei soldati, a Gerusalemme manovrano carri al mercato e hanno la faccia seria. A Qalandia i bambini chiedono shekel ma sono contenti se gli regali un cappellino, a Qalquilya stanno seduti composti e fanno disegni bellissimi. Ad Askar ti fanno gli scherzi ma poi gli dispiace che ti sporchi il vestito, i bambini a Balata non vogliono essere fotografati, le bambine invece sì e si mettono in posa. Ai bambini di Palestina piace il wrestling, soprattutto John Cena, dicono hello, what’s your name e how are you, disegnano il cielo con gli F16 e amano la loro bandiera ma soprattutto ti chiedono «Barcelona o Real?». I bambini palestinesi vogliono il mondo e gliene danno uno spicchio, ma sono tanti e non si danno per vinti.

disegno

Disegno di Raheel, 13 anni, scuola femminile Unrwa di Nablus

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