[Pop-Corner] Dal muretto al centro sociale

La genesi degli spazi occupati a Roma

di Duka (da Laspro 35 marzo/aprile 2016)

Immaginate una città dove non esistevano pub, dove le birrerie si contavano su un palmo di mano, senza locali e centri sociali per ascoltare e suonare la propria musica. Una città noiosa. Un dormitorio, come si diceva allora. Ebbene questa era la Roma dei primi anni ’80, un posto buono per farsi le pere, scenario – di grande bellezza – vuoto di sfondo alla dipendenza di una generazione. Il decennio avanza tra repressione poliziesca ed eroina, un periodo sintetizzabile nell’immagine di un gesto che scandiva il rituale di quei giorni eternamente uguali: il risciacquo.
Un atto che si materializzava a buco appena fatto: per non buttare niente della dose si aspirava con una siringa il sangue, in modo da ripulire la spada dagli scarti della sostanza rimasta attaccata alle pareti, poi si ristantuffava l’ultima miscela di nuovo dentro le vene.
Rito sacrificale consumato sull’altare di una mutazione antropologica appena iniziata che accompagnerà una intera generazione lungo il decennio del disincanto.
Se abbandoniamo queste suggestive venature tardoromantiche, il file dei ricordi e della riflessione apre una finestra sui giorni lenti e noiosi, trascorsi seduti su un muretto, tra una canna e un’altra canna ancora. Eravamo comitive formate perlopiù da soli maschi, pronti a gettarsi in massa – ogniqualvolta si presentava la rara occasione – sulla malcapitata amica di turno. All’inizio ci parlavamo addosso del tempo che fu, quello dei movimenti.
Di lì a breve, l’argomento si sarebbe ristretto ai movimenti di droga.
Tra il 1979 e il 1982, la stragrande maggioranza dei miei conoscenti, amici e amiche erano diventati tossicodipendenti di eroina. Chi ne era rimasto fuori poteva considerarsi un sopravvissuto, ma trovammo ugualmente in altre dipendenze, non meno infami, la nostra via di fuga. All’epoca tutti scopavamo con tutti fino a che fummo puniti dalla santa inquisizione che abbatté contro di noi il flagello divino dell’Aids, così fummo costretti ancora una volta a imparare a convivere con la morte.
propaganda (2)Storie di tanti anni fa, da ascoltare con in sottofondo Closer dei Joy Division, sonorità che segnarono a pieno il passaggio agli anni ’80. L’apertura di alcune discoteche dove poter ballare punk e new wave fu di fondamentale importanza per le nostre vite e per la nostra formazione. A Roma la più frequentata era il Uonna Club su via Cassia, dove metteva i dischi Prince Faster, allora il dj di Radio Proletaria. Finalmente potevamo ballare quello che ci piaceva e pareva, senza “komunisti” tra i piedi che in precedenza avevano vietato la disco music imponendoci l’ascolto religioso di De Gregori e Pietrangeli. Grazie all’apertura di questi locali, le band cittadine ebbero la possibilità di esibirsi, cosa impensabile prima dell’avvento del punk.
Il gruppo di punta e di riferimento, che più incise nell’immaginario collettivo dei sopravvissuti ribelli, si chiamava Bloody Riot. Colpivano forte, con una violenza inaudita investivano il pubblico durante i concerti, mettendolo ko. Con i Bloody Riot si alzò fragorosa una delle poche voci critiche esistenti in un’epoca di acquiescenza, e per questo motivo divennero la colonna sonora di chi scelse la resistenza nella metropoli come modello di vita.


La prima forma inedita di aggregazione nella città di Roma fu l’esperienza dal 1980 al 1982 di Villa Ada, una TAZ (Zona Temporaneamente Autonoma) ante litteram. Una delle collinette di quella residenza signorile prestata a parco pubblico divenne meta quotidiana di centinaia di giovani panchinari provenienti da ogni zona di Roma nord-est (dalla vicina viale Regina Margherita fino al profondo Tufello) e di altre tribù sparse nella città dai codici e linguaggi differenti: freak, punk, autonomi, metallari e ultrà. Lì si cominciò a discutere per la prima volta di occupare un posto dove poter fare musica, creare momenti di socialità, allestire una sala cinematografica. L’ispirazione ci giungeva dalle esperienze punk e autonomen del Nord Europa (Zurigo, Berlino, Amburgo, Amsterdam), e solo lontanamente dall’esperienza dei circoli del proletariato giovanile di Milano di settantasettina memoria. Un desiderio alimentato non solo dall’assoluta mancanza di spazi del genere, dove allestire sale prove e organizzare concerti, ma anche dalla progressiva chiusura di cinema di seconda visione nelle periferie. Più ne parlavamo, più quel posto ideale, il centro sociale appariva un luogo esotico. La variegata comunità che animava la TAZ di Villa Ada si diede da fare per organizzare due memorabili concerti, il primo nel maggio ’81 e il secondo lo stesso mese dell’anno seguente. L’ambizione era alta: organizzare un festival rock, nei fatti sembrava di stare alla sagra dell’incompreso, uno human be in in versione post moderna e demenziale.
Tra i gruppi che si esibirono vale la pena menzionare i DGA (acronimo di Denti Gialli Ammuffiti), un gruppo punk in stile New York 1975, che a me all’epoca risultava inascoltabile, perché dire che non sapevano suonare non rende l’idea della loro incapacità. Ad anni di distanza, posso garantire che i DGA furono la più grande band della storia del punk mondiale. Purtroppo, non avendo inciso neanche un demo durante la loro breve ma gloriosa carriera, le tracce della loro esistenza sono andate perse per sempre.
Da Villa Ada non si arrivò mai all’occupazione perché l’eroina distrusse interamente il tessuto sociale di quell’aggregato. Solo anni dopo chi si salvò, insieme ai vecchi del comitato di lotta di Valle Melaina, riuscirono nell’intento dando vita al primo centro sociale romano nel febbraio del 1986, Hai Visto Quinto?, a Montesacro (oggi moderno supermercato), seguita a marzo dall’occupazione del centro sociale Blitz nel quartiere di Colli Aniene.

Intanto da un’altra parte della città, a via dei Volsci, nel quartiere San Lorenzo, spopolavano gli Urban Destroy, gang di post-autonomi punk che avevano preso a simbolo un marzianetto, tra loro c’era Lampadina, dj punk di Radio Onda Rossa (poi ribattezzato Lampadread, animatore e fondatore del reggae sound system One Love Hi Powa), le cui selezioni musicali reggevano il confronto con il dj del Roxy Club di Londra, il giamaicano Don Letts (in seguito autore del documentario The punk rock movie e regista dei video dei Clash). 4425Altro evento cruciale di quegli anni, che dura ancora oggi, è la Festa del Non Lavoro, nel parco adiacente l’ex forte militare del Prenestino, il primo maggio. Questo evento viene inaugurato nel 1983, tre anni prima dell’occupazione del centro sociale Forte Prenestino che avvenne nel corso della festa del 1986, che vide – nelle prime quattro edizioni – tra i suoi protagonisti gruppi come: Bloody Riot, Fun, Cani, Nabat e Dioxina. E poi come non ricordare la Curva Sud e i tifosi giallorossi, che in quel periodo – ante centri sociali – erano una delle poche, ma forse la più bella, situazione dove poter stare. Mitici ragazzi cambiarono e rivoluzionarono il modo di tifare in Italia. I loro nomi erano Geppo (un agitatore di Villa Ada) per il Commando Ultrà Curva Sud, e Roberto Rulli dei Fedayn. Questa è la nostra preistoria. Lunga vita alla cospirazione underground.

Un pensiero su “[Pop-Corner] Dal muretto al centro sociale

  1. Questo pezzo sulla (prei)storia del movimento romano scritto dal Duka sarà pubblicato nel libro prodotto dal csoa forte prenestino per il trentennale dell’occupazione. Il libro sarà presentato durante la festa del Non Lavoro, il Primo Maggio 2016.
    Ci vediamo il 1maggio!

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